Figure of Six + Stolen Babies + Poison the Well + The Dillinger Escape Plan – 22 Marzo 2008
Non c’è maniera migliore di festeggiare l’incombente Pasqua annuale, se non con un buon concerto. E se si tratta di metal, ancora meglio!
E’ con quest’idea che mi dirigo al Vidia Club, in lieve ritardo, speranzoso che la regola che ho visto applicare migliaia di volte da sempre a questa parte – ossia quella che prevede che tutti i concerti comincino con una buona mezz’ora, oretta di ritardo – valga anche in questo caso. E invece no, i Figure of Six non solo hanno già cominciato la loro esibizione, ma si apprestano a terminare lo spettacolo (dopo circa una quarantina di minuti). Nelle due canzoni finali che riesco a sentire capisco comunque che il gruppo è ben compatto ed “in serata”. Dalle opinioni del pubblico scopro la conferma ai miei pensieri, per una performance molto dinamica (nonostante il mal funzionamento della testata di uno dei due chitarristi) e che snocciola brani sia dall’(ormai storico) album di debutto (“Step One”), che dal nuovo disco, intitolato “Aion”, in uscita per Locomotive Records il 18 Aprile.
Dopo circa 20 minuti di armeggiante cambio di palco, strumenti, sound check e chi più ne ha più ne metta, salgono sul palco gli Stolen Babies. Il gruppo è capitanato dalla bella e provocante Dominique, cantante e fisarmonicista (!!!) che comincia la sua serata con un dolce e soave “Good evening guys, are you having fun?”, per poi lanciarsi in uno screaming degno della migliore Candace Kucsulain (Walls of Jericho). Le influenze che ha il gruppo sono quanto di più ampio ci si possa aspettare. Dall’industrial (grazie soprattutto alla forte e costante presenza delle tastiere, e di una batteria che fa della cassa il suo punto focale), alla musica etnica (appunto, a causa della succitata fisarmonica), dall’hardcore di nuova scuola al rock più classico, ma sempre con venature elettroniche. Il pubblico che la band si trova davanti, naturalmente, e come sempre succede in Italia, sembra sia stato appena scongelato da una lunga ibernazione, e si guarda attorno, attonito ed immobile. Se Ungaretti parlava di foglie scosse dal vento autunnale, qui si può facilmente alludere a pali di piombo che non si smuovono nemmeno con le bombe lanciate da un gruppo che meriterebbe assolutamente gli applausi. Dopo circa quaranta minuti, caratterizzati da sole due persone che si sbracciano (una delle quasi agitando costantemente in aria il dito medio, segno ancora una volta della civiltà dell’homo italicus), la band cede il posto ai Poison the Well.
Con loro, la serata vira profondamente verso ciò che sarà il tema dominante: il noise. La band, giunta al quinto lavoro in studio (“Versions”) scalda sicuramente di più il pubblico, che però non abbandona del tutto il comportamento impassibile. Lo show proposto, dicevamo, è caratterizzato, sì, dal noise, ma ha la pecca di farli sminuire, se paragonati ai mostri sacri del genere che presto saliranno. Se a ciò si aggiunge il fatto che, della decina di pezzi suonati, i primi appartengono tutti al nuovo album, che anche per i pezzi “storici” sono adottati nuovi arrangiamenti tali da stravolgere non poco la riconoscibilità dei brani stessi, e che la band pare un po’ sottotono, svogliata (soprattutto nella figura del cantante) almeno quanto il pubblico e desiderosa di scorrere velocemente il proprio repertorio, si capirà come quello presentato sia stato uno show mediocre. Tecnicamente ben dotati, con le potenzialità per coinvolgere il proprio pubblico, ma senza quel “non so che” che avrebbe potuto capovolgere il risultato dello spettacolo proposto. Senza infamie né lodi, dopo meno di un’ora i nostri scendono dal palco avendo sommariamente preparato il terreno per gli headliner della serata.
Accolti da un boato (se confrontato con la grandezza del luogo) da parte dei tanti presenti (paganti 18 euro a cranio, giusto per precisare), i Dillinger Escape Plan mettono subito in chiaro chi è che comanda. Entrata, inizio in 30 secondi, primo lancio di persone in stage diving. Nel frattempo,i giochi di luci aiutano la prestazione della band del New Jersey, giunta al Vidia Club come unica tappa italiana del loro tour mondiale in presentazione dell’ultimo album “Ire Works”. Greg Puciato (in grandissima forma, sia fisica che caratteriale) incita i presenti a scatenarsi più di quanto già non stia succedendo, e riesce nell’intento. Brani estratti dai dischi precedenti si alternano agli ultimi pezzi, ma in generale l’attenzione del pubblico rimane costantemente ad un livello alto, e almeno questa volta ampiamente partecipe. Nel frattempo i nostri ne combinano di tutti i colori, riuscendo a trasformare un genere poco orecchiabile in una potentissima risorsa perfettamente adeguata e, anzi, molto coinvolgente per la dimensione live. Da notare la perfezione tecnica degli stacchi e delle esecuzioni, gli intermezzi jazz, le arrampicate in solitaria del succitato Greg, che a fine concerto deciderà di farsi un’escursione tutta personale arrivando (non contento di aver scalato le casse) ad appendersi all’impalcatura portante fissata al tetto del locale. Infine si può facilmente capire il nesso fra le mentalità dei chitarristi – che sembrano costantemente tarantolati, agendo con movimenti spasmodici – e il genere di note che fuoriescono dai loro amplificatori: entrambe gli elementi presi in esame sono abbondantemente “malati”. Lo show durerà poco meno di un’ora, ma i Dillinger Escape Plan non si prenderanno un secondo di pausa, dando uno spettacolo che, tutto sommato, varrà il prezzo del biglietto, radendo letteralmente al suolo il confronto con le altre band. Con buona pace (ed ammissione di riconosciuta e maestosa superiorità, se non altro in fatto di show spettacolari) delle stesse.