Gli Shadows Fall sono sempre stati considerate dal pubblico europeo come una di quelle bands perfette per svolgere il loro compitino di gruppo spalla. Non avendo mai sfondato realmente al punto tale da potersi permettere tour da headliner, sono sempre vissuti all’ombra del successo altrui. Se questo, tuttavia, ha voluto dire una costante onestà nella propria ricerca sonora ed una serie di album (con questo, giungiamo addirittura al settimo album in studio) nient’affatto malvagi, allora forse non tutto è venuto per nuocere.
Va detto, tuttavia, che registrare un album come “Retribution” nel 2009 può portare ad alcuni rischi che, se da un lato possono sembrare paradossali, dall’altro vanno certamente ben calcolati. Ad esempio, un facile paragone con altre bands che, pur condividendo il genere, sono riuscite in base ad una serie di meccanismi di mercato a sopravanzare i loro stessi maestri, ed a piazzarsi sistematicamente in una posizione di vantaggio mediatico rispetto ai propri predecessori (potendo solo immaginare la frustrazione derivante da tutto ciò). Ascoltando una traccia come “Still I Rise”, per esempio, non si può non ricollegare il tutto ad una serie di melodie già affrontate da gruppi quali Trivium e All that Remains. Paradossale perché, appunto, pur essendo arrivati entrambe alla ribalta delle cronache in un periodo cronologicamente futuro rispetto ai nostri (che hanno formato la band nel 1997, in tempi decisamente non sospetti), hanno contribuito a stabilizzare le fondamenta di un genere che ha successivamente preso piede. Il misto tipico di thrash metal ed heavy (che, beninteso, ha ben poco di quella componente -core tanto sbandierata ai quattro venti e mai realmente dimostrata) si ripete anche in questo album, ed è una miscela che è decisamente ben riuscita.
Echi di Machine Head (“King of Nothing”, come è giusto ed inevitabile che sia, si spandono di tanto in tanto. A questi si aggiungono una serie di passaggi creati apposta per entrarvi in testa, che aumentano decisamente la godibilità dell’album. Di per sé, l’album non ha nulla che non vada: ben registrato e curato sotto ogni aspetto promozional-commerciale, suonato con la solita tecnica ed abilità richiesta ormai di default, pensato e successivamente creato per una massa di ascoltatori sempre (meno) pronti a pagare il prezzo del prodotto (e, in particolare, a replicare l’azione nel corso di eventuali concerti).
Il problema, casomai, sta in una sovrapproduzione che porta gran parte delle bands a vedere il loro futuro deciso dal primo (o, se proprio capita un colpo di fortuna, secondo) album. E lo spazio rimanente per i restanti, ovviamente, è poco più che un contentino. A che cosa serve, dunque, assegnare un voto che non solo promuova, ma esalti le qualità di un album del genere se esso verrà prontamente accantonato da tonnellate di dischi più prontamente pubblicizzati e perciò diffusi? Suppongo, a nulla. Ma così agiremo in ogni caso, e il mondo va avanti.
Voto: 8