(Prophecy Productions, 2011)
1. Saivon Kimallus;
2. Pojan Kiiski;
3. Uloin;
4. Pienet Purot;
5. Sateen Soutu;
6. Haaksi;
7. Surunuotta;
8. Savoie;
9. Vuoksi;
10. Paluu Joelle;
11. Sees;
12. Siniset Runot
Formatisi quindici anni fa, i Tenhi sono un progetto fondamentale per chi apprezza il folk (o neo-folk, senza dover per forza parlare di Death In June) giunto con quest’ultimo Saivo, al quinto studio album. Ormai da anni sotto l’ala protettrice della Prophecy, il gruppo finlandese ha sfornato le sue opere migliori nell’ultimo periodo della sua carriera, ovverosia Maaäet, che rimane l’episodio migliore della loro produzione, e la super raccolta in triplo cd Folk Aesthetics 1996-2006 che raccoglie i primi due demo oltre a varie canzoni mai rese pubbliche. Per rendere omaggio a questo progetto più unico che raro, in occasione della pubblicazione dell’ultimo disco l’etichetta ha addirittura deciso di rendere disponibile la loro intera discografia in vinile, disponibile in uno splendido box di legno, per i fan più accaniti.
Dopo vari trailer e piccole anticipazioni che si ricorrevano da qualche mese, finalmente viene ufficializzata l’uscita di Saivo, il nuovissimo album dei Tenhi. Addentriamoci subito in questo piccolo viaggio fatto in musica: come sempre a dominare sono chitarre acustiche e il cantato di Tyko Saarikko, che qui raggiunge un timbro davvero particolare, suadente, caldo ma allo stesso tempo distaccato che un po’ ricorda il Garm di Shadows Of The Sun; ma diverse novità ci attendono al varco. Ovviamente violino, pianoforte e batteria sono sempre presenti, qui è la struttura generale delle canzoni che sembra avere un andamento diverso dal solito: oltre ad avere delle bellissime aperture, l’atmosfera generale è che tutto sia volutamente più sottotono, quasi a voler farsi sentire ma senza attirare troppo l’attenzione. Un esempio ne è sicuramente “Surunuotta”, minimale al massimo, composta solo da arpeggi di chitarra acustica, un flebilissimo synth di sottofondo e poche parole cantate solo all’inizio e alla fine del brano, ma che riesce a trasmettere una carica emotiva enorme, in questo molto vicina ai passi iniziali di progetti come October Falls e Nucleus Torn. Tutto il contrario si potrebbe dire della successiva “Savoie”, che forse più ritorna al precedente Maaäet, incentrata su giri davvero molto orecchiabili, un ritornello accattivante, ripetitivo e caldo che prende subito e difficilmente si lascia andare in tempi brevi. E come resistere alla conclusiva “Siniset Runot”? Dieci minuti di durata potrebbero sembrare troppi, ma l’andamento del brano coinvolge da subito: da un intreccio di cori, violini e passaggi acustici sorretti da una batteria mai invadente si passa ad una parte centrare, a sorpresa, interamente ambient con qualche puntata verso lidi a là Jääportit che proseguono anche quando ritorna con prepotenza l’intreccio iniziale, con l’aggiunta stavolta anche del pianoforte e di passaggi di violini raramente così struggenti. In generale l’idea che si percepisce di Saivo è che sia un album decisamente meno immediato dei precedenti, che necessiti davvero tantissimi ascolti per riuscire a coglierne l’essenza. E, proprio per ciò che è appena stato scritto, alla fine dell’ascolto risulta davvero difficile riuscire a ricordare una canzone per intero; ogni singolo passaggio sembra richiamarne continuamente un altro magari di un’altra canzone, alla fine dell’ascolto quello che rimane è però un senso di sollievo difficilmente esprimibile altrimenti, senso che però spesso ti costringe a ricominciare l’ascolto dall’inizio. Ed è questo l’aspetto più enigmatico del disco.
Il discorso qui non è (come quello che molti altri stanno facendo solo per essere fra i primi a sentenziare su Saivo): è un album dei Tenhi, quindi per forza è un ottimo album. Sarebbe troppo facile e svilente. Oggettivamente, a livello musicale, è un buon album, con ottime soluzioni e ottimi passaggi, che si discosta ulteriormente da quanto fatto in precedenza; il problema è che risulta difficile andare oltre. Per far ciò occorrono probabilmente mesi di ascolto, perché quello che si può percepire immergendosi per così poco tempo sembra davvero sublime, ma il giudizio non vuole essere affrettato. Il consiglio in pratica è: ascoltare, ascoltare e sentire il disco. Per parlarne ci sarà tempo anche fra sei mesi, per questo il voto è puramente indicativo.
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