Una delle cose più belle di un concerto degli Anathema è che hanno quella capacità, propria dei gruppi attivi da tanti anni ma capaci di rinnovarsi molteplici volte, di richiamare un pubblico composto da un’umanità decisamente varia. Fin dal nostro ingresso al Rock Planet, quando ancora la sala non può considerarsi neanche “piena per metà”, notiamo una grande quantità di ragazzi, che danno l’aria di essere lì soprattutto per gli ultimi Anathema,metalheads giovani e meno giovani (in alcuni dei primi casi accompagnati da bellissimi padri con maglie provenienti da vecchi tour) e qualche inguaribile nostalgico che in fondo in fondo spera di poter sentire qualche classicone, anche se “restaurato”. Ma ormai si sa, di quella meravigliosa band che faceva parte della mitica “Triade” inglese del gothic metal (quello vero) insieme a Paradise Lost e My Dying Bride ormai ci è rimasto solo un gruppo di rock malinconico e sognante che, per quanto interessante, non ci suscita le emozioni che proviamo ascoltando The Silent Enigma o l’ibrido Alternative 4. Non abbiamo però saputo resistere alla chiamata della Storia, anche perché in questa serie di date italiane la band dei fratelli Cavanagh è stata supportata dall’ottima band nostrana Arctic Plateau. Ecco dunque il resoconto della serata.
Anathema + Arctic Plateau
Rock Planet, Pinarella di Cervia (RA)
13 / 10 / 2012
ARCTIC PLATEAU
Del bellissimo progetto del musicista romano Gianluca Divirgilio abbiamo già parlato recensendo The Enemy Inside, disco che al di là delle parole usate in quella sede ci ha colpito tantissimo e che continuiamo ad ascoltare con estremo piacere. Temevamo che in sede live un po’ di quella “magia” propria dell’opera si perdesse, anche perché queste con gli Anathema erano le prime esibizioni live della “neonata” band, che fino a poco fa era unicamente un progetto da studio del solista Divirgilio. Le nostre paure svaniscono alla svelta, e veniamo subito catapultati nel vortice di intime sensazioni e ricordi che viene creato da pezzi bellissimi come “Idiot Adult” o “Abuse”: la setlist è incentrata quasi totalmente sul nuovo disco, a scapito del pur bello On A Sad Sunny Day, e nella mezz’ora a loro disposizione gli Arctic Plateau sembrano conquistare anche la stragrande maggioranza di pubblico che probabilmente non li conosceva. Gianluca sembra perfettamente a suo agio mentre suona, nonostante tramite la sua voce sognante e carica di emotività dia sempre la sensazione di mettere in poesia manifesta una parte intima e personalissima di sé stesso. Abbiamo poi molto apprezzato la decisione di riproporre anche in sede live la titletrack dell’ultimo album, in cui su disco appaiono le urla di Carmelo Orlando (Novembre): Gianluca reinterpreta quella parte con uno screaming più “acido” e ovviamente meno possente, che però ci sembra perfettamente coerente col personaggio, e che conferisce al brano un mood più intimo e sofferto. In breve, lo show degli Arctic Plateau ha soddisfatto e superato tutte le aspettative (dopo aver visto anche gli Anathema diremo che è stato la cosa migliore della serata), tanto che mentre svanivano le ultime note di “Big Fake Brother” già ci accorgevamo che non vediamo l’ora di rivederli.
ANATHEMA
Ce ne rendiamo conto, è difficile criticare in negativo una band come gli Anathema, attiva da oltre vent’anni ma capace di rinnovarsi più volte senza fossilizzarsi su sonorità che già gli avevano dato grande fama e contemporaneamente dimostrando (quasi) sempre grande talento; in più, da sempre la band dei tre fratelli Cavanagh dà prova di grande professionalità anche grazie a show lunghi (pure stasera, due ore buone) e intensi, di quelli che ti danno la sensazione di aver speso ben i soldi del biglietto. Le critiche che ci sentiamo di fare, dunque, son rivolte a ciò che la band stessa è diventata, più che alla qualità di un concerto formalmente perfetto. Come detto in apertura, non ci aspettavamo riproposizioni di grandi classici (nonostante il successo della bellissima raccolta Hindsight, datata 2008, potrebbe far venire alla band l’idea di suonare qualche classico in più), anche perché questo era chiaramente il tour promozionale per il nuovo Weather Systems. A stupirci particolarmente son stati certi dettagli quasi folkloristici, che però fanno pensare: dalle cose più innocenti, come l’apparentemente burbero Jamie che invita la folla a battere le mani (da Vincent e Danny ce lo aspettavamo, suvvia, non son più i musoni di un tempo) o certi ragazzini delle prime file che addirittura chiedono espressamente i brani dell’ultimo disco (come se non ne avessero suonati abbastanza!). L’apice dell’indecenza, però, è stato raggiunto sull’esecuzione della bellissima “A Natural Disaster” (a noi piacciono anche gli Anathema “post-svolta”, sia chiaro), quando Danny ha chiesto che venissero spente le luci e invitato a sollevare accendini o telefonini (!): il problema è che è stato prontamente ascoltato e nel buio del Rock Planet, osservando dal “corridoio sopraelevato”, si assisteva ad una distesa di biancastri schermi di smartphone accesi, con qualche scienziato che si è messo pure ad accendere accecanti torce et similia. Ma dov’è finita la poesia degli Anathema, di grazia? Al di là di questo raccapricciante episodio, è proprio la versione live dei nuovi pezzi che ci lascia un po’ interdetti: se i brani di We’re Here Because We’re Here, anch’essi ampiamente presenti, dal vivo conservano un mood intimista e malinconico, i pezzi di Weather Systems, quasi tutti riproposti, hanno invece un sapore decisamente troppo pop. Non tutti, sia chiaro, in alcuni si sente, dal vivo come su disco, il tipico Anathema-sound; molti altri però abbracciano troppo sfacciatamente sonorità elettronico/danzerecce che appaiono decisamente fuori luogo (“The Storm Before The Calm” il punto più basso in assoluto, probabilmente). A questo si aggiunga che in questi brani la voce di Vincent ci sembra pure molto meno espressiva e convincente, tanto che ci ritroviamo ad applaudire più per la ottima performance vocale di Lee Douglas che per il resto dell’esecuzione. La sensazione, più forte dopo questo live rispetto al semplice ascolto dell’ultimo album, è che la direzione che sta prendendo la band sia quella di dare sempre più spazio alla talentuosa (seconda) cantante; tuttavia, l’apprezziamo comunque di più negli interventi sporadici che fa, in maniera azzeccata, in pezzi di diverso tipo o ancora quando duetta “sullo stesso piano” con Vincent (“A Natural Disaster”). Da tutto quello che abbiamo scritto, potrete facilmente intuire perché ci ritroviamo a concludere che il concerto degli Anathema ci è piaciuto solo a metà, e non basta l’intramontabile, splendida “Fragile Dreams” posta in chiusura per tirarci su, anzi: l’esaltazione che ci provoca risentire quel capolavoro, unico estratto del periodo che arriva fino ad Alternative 4, non fa altro che acuire il nostro dispiacere. In ogni caso la prestazione generale non si discute, così come la performance dei singoli e la capacità di tenere il palco (tutti fattori che determinano che un concerto è definibile oggettivamente buono) e probabilmente, se la scaletta fosse arrivata anche solo fino a We’re Here Because We’re Here evitando certi pezzi totalmente malriusciti di Weather Systems, il nostro giudizio soggettivo sarebbe stato diverso. Tuttavia, è per noi innegabile che il concerto degli Anathema, al di là di tutte le buone cose che però davamo per scontate, è stato in fin dei conti proprio come non ci aspettavamo che fosse. Avaro di emozioni.
Setlist:
Untouchable Part 1
Untouchable Part 2
Thin Air
Dreaming Light
Everything
Deep
Emotional Winter
Wings Of God
A Simple Mistake
Lightning Song
The Storm Before The Calm
The Beginning And The End
Universal
Closer
A Natural Disaster
Flying
Encore:
Internal Landscape
Fragile Dreams