Dunque è arrivato il momento di godersi, affrontare e vivere in un mix contrastante di emozioni il terzo giorno del Frantic Fest 2019, che ha luogo in un caldo quanto già malinconico 17 agosto. Ci resta solamente un altro giorno di fuoco e un’altra notte in tenda – ne prendono atto con gaudio le nostre schiene e i corpi tutti, ormai macinati da uno stile di vita riprovevole amplificato da qualche mosh. D’altra parte però, in controtendenza con ogni istinto di conservazione, a noi andrebbe anche bene il caso ipotetico in cui il festival continuasse ad oltranza, perché non vediamo come le nostre energie possano essere impiegate in maniera migliore se non vivendo il Frantic Fest.
Ipotesi, tra l’altro, che abbiamo per poco sventato, dato che la nostra ultima mattina è stata spesa dal meccanico: l’iconica Multipla che ci ha portato fin quassù potrebbe anche lasciarci quassù, e non che fossimo particolarmente tristi all’idea di prolungare il nostro campeggio, ma alla fine risolviamo e ci buttiamo a testa bassa nell’ultima giornata di fest, quella più variegata, che regalerà le solite e apprezzatissime legnate.
Report a cura di Francesco Orlandi, Francesco Paladino e Martino Razza. Fotografie ufficiali del fest a cura di Benedetta Gaiani.
Frantic Fest 2019
Tikitaka Village, Francavilla al Mare (CH)
Day 3 – 17/08/2019
Vi ricordate quando dicevamo che il sole è il nostro primo nemico? Ecco, la palla luminosa dimostra poco rispetto anche dei SEDNA, che aprono la giornata sullo small stage. Il post-black metal atmosferico dei cesenati poco si presta alle temperature, ma in realtà appare una scelta azzeccatissima all’interno del bill. Dimostrando il passo avanti compiuto nella concezione di sé stessi, la band incorpora in un’unica creatura le migliori caratteristiche del black moderno, dello sludge e del post-metal, e le rielabora in maniera personale e brillante. Sul palco presenta nella propria interezza, e in anteprima, l’unica traccia che compone The Man Behind the Sun, terzo full length in uscita a settembre per Spikerot Records, con una performance intensa e sentita, pienamente all’altezza del disco, facendo fronte con grande naturalezza e professionalità sia al recente cambio di line-up sia all’arsura cocente dal sole delle 17.30, fornendo 35 minuti tra sezioni atmosferiche ascetiche e raffiche di blast beat furioso che fin da subito fanno capire quanto anche quest’ultima giornata del Frantic Fest 2019 non lascerà un attimo di tregua al proprio pubblico: comunque vada sarà un viaggione.
Il cambio di palco ci porta ad una band più consona alle temperature, i ferraresi GAME OVER. Il loro thrash metal old school aderisce appieno alle regole del genere, dal punto di vista musicale ed estetico (come nel caso del chitarrista molto mustaneiano), ed è suonato senza sbavatura alcuna davanti a un pubblico già caldissimo. La band fa bene ciò che deve fare; tuttavia il thrash non è esattamente la nostra tazza di tè, per cui rimandiamo il giudizio a chi ne sa più di noi.
Tutt’altra storia per i VISCERA///, che stanno ai redattori di GOTR un po’ come le Spice Girls a un’ossigenata tredicenne di metà anni Novanta. Alla prima uscita con la nuova formazione a quattro, comprendente Marcello Bellina (Morkobot, Zolle) alla chitarra, la band presenta l’ultimo EP City of Dope and Violence e apre proprio con i due brani che lo compongono, tra cui la summer hit “Spirit Of ’86”. La botta è impressionante, così come la resa sonora dei Nostri, precisissimi e molto fedeli a quanto prodotto in studio, comprese le riconoscibilissime voci pulite di Mike B.. L’aggiunta della seconda chitarra porta con sé una gran dose di groove e aumenta il peso specifico delle note, invero già pesanti di loro, lasciando all’altra la possibilità di divagare in assoli o momenti psichedelici. C’è spazio per altri due lunghi brani: uno è “Martyrdom for the Finest People”, uno di quei pezzi a cui dedicheresti l’intera scaletta di un festival, l’altro è, a sorpresa ma forse no, “Um ad-Dunia” dal secondo album in studio della band, nella cui formazione figurava proprio Bellina. Heavy e cadenzato, piuttosto diverso dalle ultime manifestazioni della self-warfare del quartetto, il brano riprodotto con la sua formazione originale è una vera mina che ci distacca dal tempo e dallo spazio circostante. O, almeno, lo fa fino a quando assistiamo al siparietto messo su da quel possente John Cena che si guadagna la prima fila e cerca di comandare il pogo con mosse perentorie a mo’ di direttore d’orchestra, risultando, manco a dirlo, del tutto fuori luogo. Ma che vuole? Comunque, per mera esecuzione come per pathos, quella dei Viscera/// rientra di diritto tra i migliori show del Frantic, e a quanto pare non solo per noi che siamo già dei conclamati fanboy, dato l’ottimo feedback ricevuto dal pubblico.
Cala il sole e ci spostiamo verso il main stage: nei riguardi dei PHLEBOTOMIZED non si rimane del tutto indifferenti, ed è con uno spirito mosso da vera curiosità che assistiamo alla loro performance. Gli olandesi si possono definire la vera chicca di questo festival, una band di culto che dopo ben undici anni sforna un nuovo lavoro non capita tutti i giorni. L’impressione generale, all’infuori dell’ovvio disorientamento per i ritmi molto più lenti del resto della giornata, rimane tutt’ora un po’ di straniamento generale. Per chi scrive specialmente, i Phlebotomized rimangono un’incognita vera. Suoni possenti, ottima prestazione vocale e idee talora molto azzeccate farebbero di questo progetto una vera e propria perla, se non fosse che i medesimi difetti riscontrati su disco si avvertono molto distinti pure dal vivo. Quando i nostri si cimentano appieno nel death/doom danno il meglio di sé con un sound estremamente vincolato ai dettami degli anni ’90, un po’ alla Anathema e un po’ a la mo’ dei primi Katatonia (non scordiamoci che Immense Intense Suspense era del ‘94), il che non può che fare piacere alle gonadi dei presenti. La lentezza, quei suoni così ricorrenti nella malinconia di quel genere e l’impatto live fanno godere parecchio, ma poi ecco che subentrano varie sezioni che fanno storcere il naso e perdere il filo del discorso. Un ultimo difetto va segnalato nella performance del giovine chitarrista solista che non si può certo dire preciso in tutto e per tutto, non quanto il genere richiederebbe. Insomma, uno show a fasi alterne che non riesce a convincere pienamente.
Ma i veri e propri eroi del fest sono i cechi SPASM. Chi li conosce probabilmente starà già ridendo al pensiero, chi non li conosce invece è bene che recuperi il prima possibile. Dopo la semi delusione degli olandesi e col cuore affranto ci muoviamo verso il luogo delle efferatezze sessuali. Autori della performance più divertente dell’intero festival, i Nostri danno il meglio di sé per tenere testa alla ormai leggendaria presenza dei Gutalax in terra straniera, se non fosse che qui la gente è educata e si limita al lancio di carta igenica e urla deliranti. Radim si presenta in tutta la sua magnificenza in tutina di Borat (fortunatamente dotato di mutande, ma non ci avrebbe sconvolto il contrario) e maschera con naso peniforme ed è subito il delirio generale. Goregrind perverso e di qualità, pezzi veloci e brevi, tanto divertimento e tanta sana follia del pubblico che non attende certo un invito per invadere il palco e gettarsi in stage-diving e vari mosh. Carta igienica e bestemmie dal cielo come piovesse, non ci si poteva aspettare di meglio da uno show simile. Le varie pause tra un pezzo e l’altro sono riempite dalle invettive in italiano con un meraviglioso accento slavo pregne di riferimenti sessuali e provocatori di Radim stesso (scopriremo poi esserci lo zampino dei ragazzi dei Guinea Pig in tale encyclopedia perversionum). Conclude in bellezza la hit generazionale “Cheiromania (Masturbation – No Pain, No Gain)”, con la soddisfazione di aver avuto libero sfogo ai propri pensieri libertini. Chissà cosa avranno pensato i signori della security intervenuti sul palco e imbambolati davanti a uno spettacolo di cotanta grazia. E’ proprio vero che la gente non sa cosa si perde. A presto amori!
Restiamo in tema di death metal, anche se con forme e modi del tutto diversi, con i primi headliner della serata, nome internazionale a cui non servono presentazioni: gli ABORTED, forti del nuovo ottimo Terrovision e di una line-up aggiornata col nostro Stefano Franceschini (Hideous Divinity) al basso, mentre spetta al solito Sven mantenere intatto lo spirito di un progetto che negli anni è cresciuto a dismisura. Dopo l’enorme coinvolgimento degli Spasm è con un animo ritemprato che sentiamo già le note iniziali dei belgi invadere l’aria e sprigionare violenza senza fronzoli. Con un set che attinge a piene mani dal nuovo parto i Nostri radono al suolo ogni possibile titubanza dei presenti (semmai ce ne fossero) con suoni impeccabili, un muro sonoro disumano e una professionalità inarrivabile. Sia i nuovi pezzi, moderni e groovy ma non per questo mainstream nel senso negativo del termine, che i più datati rendono alla perfezione il significato del genere. Velocità, efferatezza e pachidermia, il tutto con un pubblico in visibilio e Sven a richiedere più wall of death – una certa anticaglia, ma se eseguiti su ordine del poderoso frontman fanno tornare chiunque ragazzino con i medesimi livelli di estatico straniamento degli anni passati. Coinvolgenti e affilati i cambi di tempo repentini scuotono le masse e i breakdown incitano la violenza che si sparge tra le menti del pubblico imbastendo una delle performance di più alto livello mai potute apprezzare da chi scrive. Unica pecca la restrizione dei tempi della loro performance, 40/50 minuti spaccati e i nostri salutano il Frantic Fest consci di aver lasciato il segno su ogni singolo astante.
Sono le 22:00 quando il pubblico esce dall’appena terminata lezione di death metal, in attesa che salgano in cattedra i Discharge per lo show finale. Giustamente però, per non appesantire eccessivamente di contenuto (d)istruttivo gli avventori, tra una lezione e l’altra è anche il caso di fare ricreazione, alleggerendo i toni e rilassando i nervi, ma senza retrocedere qualitativamente di un passo, anzi alzando sempre più l’asticella. E’ questo il ruolo dei sardi CONFRONTATIONAL, ovvero una delle migliori realtà del panorama internazionale dark/retrowave, che sullo small stage si cimentano in uno show dominato da suoni sintetici, provenienti da tutti gli strumenti coinvolti, ovvero da una chitarra camaleontica che non teme di essere rielaborata, attribuendole il ruolo di un ulteriore synth, da un set di batteria ibrido che esibisce vistosi pad come nella migliore tradizione ottantiana, e, chiaramente, dai sintetizzatori, colonne portanti dello show. Nota di merito va alla cura delle luci che, malgrado lo small stage non preveda particolare attenzione alla scenografia, hanno aggiunto un layer di qualità in più all’esibizione, permettendo al pubblico di immergersi totalmente in un’atmosfera ipnotica e surreale, che omaggia le colonne sonore dell’horror cult italiano, anche in maniera esplicita, con un intro dello show che riprende la colonna sonora di Profondo Rosso, corrispondete precisamente all’intro di Under Cover of Darkness, disco del trio sardo in uscita a settembre. Le atmosfere dei Confrontational sono assolutamente suggestive e puntano ad epoche passate, non senza un filo di nostalgia, però contestualizzando brillantemente show e musica al periodo attuale. Ciò che rende il contesto ancora più surreale è vedere lo stesso pubblico, che prima veniva polverizzato sotto il palco dagli Aborted, ballare, senza freno inibitorio alcuno, nel miglior mood della disco music ottantiana, godendosi uno spettacolo di grande livello che ha dato all’ultima notte del Frantic Fest 2019 un carattere ancora più unico e ribadendo come questo festival sia già, almeno per noi, tra i momenti più memorabili dell’anno. E come potrebbe essere altrimenti, in un festival in cui nella stessa sera due band dedicano un brano a Sabrina Salerno.
A porre il sigillo a queste giornate massacranti, con un perentorio pugno sul tavolo, sono i DISCHARGE, ovvero gente che ha inventato e influenzato tutta una porzione di musica estrema. Nulla da dimostrare, se non un sincero disprezzo verso il mondo: questi stanno sui palchi da decine di anni e ancora ti sbattono in faccia un odio e una rabbia inquantificabili. Pare di essere su un altro mondo rispetto allo show pulito e di maniera degli Agnostic Front – non ci piace fare paragoni, ma qui è facile accostare le esibizioni di due band cardine dell’hardcore mondiale – perché nel d-beat degli inglesi è più facile immedesimarsi e condividerne gli intenti. Come è più facile lasciarsi andare ai ritmi serratissimi di questi brani che sono schegge impazzite, con quelle chitarre rock n’ roll che vanno da tutte le parti in divertenti momenti solistici. JJ Janiak poi è un pitbull rabbioso che sbraita durante e fra i brani, lanciando invettive – ed è anche qui siparietto con un simpatico avventore che pare abbia ingoiato un megafono, che dal mixer urla intimando alla band di fare silenzio e suonare, tutto ciò ad un volume davvero molesto. Comunque, lo show dei Discharge conferma quanto sia gasata la gente qui al Frantic: siamo in dirittura d’arrivo, tutti distrutti, gli svenuti e gli accasciati ormai manco li noti più, però sotto al palco c’è una gran bolgia e si scatena un mosh violentissimo. Sembra di stare in una grande festa tra amici e ci sentiamo bene.
Abbiamo chiacchierato e scambiato opinioni con molti presenti, e ci sentiamo di condividere lo stesso pensiero: il primo punto di forza del Frantic Fest è proprio questo, l’atmosfera e la convivialità, l’essere a misura d’uomo – molto accurata, lo rimarchiamo, la scelta delle band che riempiono le prime zone delle scalette, tutte impressionanti e tutte meritatamente parte di un gran bill – il che dà l’idea di un gruppo di organizzatori che sa come guardare avanti senza dimenticarsi di cosa c’è dietro. Certo, il cartellone diventa sempre più imponente, l’organizzazione è precisissima ed ogni spazio e momento sembra gestito al meglio, ma ciò non basterebbe a farti sentire così parte di un tutto. Non sappiamo che sortilegio ci sia di preciso, ma appena si spegne l’ultimo ampli noi abbiamo iniziato il countdown per la prossima edizione e crediamo sia questo il maggior successo. Ci auguriamo dal profondo che il festival cresca come merita, senza però perdere questa attitudine underground che al momento lo inquadra in un limbo di umanità che ci sembra la sua dimensione ideale.
Ora però non ci resta che attendere i primi annunci dell’edizione 2020, pianificare il prossimo viaggio in Multipla e fantasticare su quale curioso cocktail a base di energy drink diventerà la nostra droga. Alla prossima, grandi culi!