Ottavo disco in oltre 25 anni di carriera per i tedeschi Dark Fortress, tra i più eclettici interpreti di quella magmatica materia volgarmente nota come black metal. Inizialmente quasi una tribute band dei Dissection (sentite i primi due dischi), i Dark Fortress hanno in seguito virato verso un black melodico, contaminato dal death e proggheggiante assolutamente peculiare, tanto interessante quanto complesso.
Spectres from the Old World conferma questa linea, ottimamente sviluppata nei tre precedenti album – l’ultimo dei quali, l’affascinante Venereal Dawn, è datato ormai 2014. Insomma, trovata la propria dimensione artistica, il quintetto teutonico (ma nel quale milita lo svizzero V. Santura, fidato sodale di un certo Tom G. Warrior nell’ultima formazione dei Celtic Frost e, poi, nei Triptykon) ha proseguito sulla stessa strada, incurante di qualunque trend. Sempre in bilico tra dimensioni sonore diverse, i Dark Fortress sviluppano una proposta musicale tentacolare, nella quale si ricorre a strutture e soluzioni “classiche” (si può citare il frequente ricorso agli assoli, per esempio) ma tuttavia arricchendo ogni riff, ogni passaggio, ogni linea vocale con elementi sempre cangianti. Proprio la cura degli arrangiamenti impressiona, contribuendo a spiegare come mai siano passati sei anni dalla precedente uscita: e particolare menzione meritano a nostro avviso quelli vocali, che non disdegnano cori in voce pulita che spezzano la continuità del cupo scream del vocalist Morean (questo emerge in particolare nella doppietta “Pulling at Threads” – “In Deepest Times”). Raramente i Dark Fortress si concedono le vere e proprie sfuriate “tipiche” del black metal: l’atmosfera è, piuttosto, contemplativa e ieratica, diremmo introspettiva, con punte – e non è una contraddizione – di declamatoria teatralità (la conclusiva “Nox Irae”, per esempio). Ciò a cui la band tende è un senso di trascendenza musicale, non minata dai – rari – momenti di più sincera furia luciferina (“Swan Song”).
Spectres from the Old World non è un ascolto facile, come d’altronde tutti i titoli dell’ormai notevole discografia della band; ma chi segue il combo bavarese, d’altronde, ci sarà ormai abituato. Assimilare i molteplici spunti dei Dark Fortress, le mutevoli influenze e il continuo rimescolio di sonorità e atmosfere richiede molteplici ascolti, e talvolta un vero e proprio sforzo di concentrazione che rende inevitabilmente la loro musica per pochi, e non per tutti. Lo spessore della band è comunque indubbio, nonostante alcune prolissità che si ritrovano in tutti i loro album ma che, evidentemente, fanno parte del loro modo di costruire la propria dimensione artistica.
(Century Media, 2020)
1. Nascence (intro)
2. Coalescence
3. The Spider in the Web
4. Spectres from the Old World
5. Pali Aike
6. Pazuzu
7. Isa
8. Pulling at Threads
9. In Deepest Times
10. Penrose Procession (interlude)
11. Swan Song
12. Nox Irae