Brute Force è uno di quegli album da cui non si sa cosa aspettarsi. E anche dopo averlo ascoltato si sente la necessità di ascoltarlo nuovamente per diverse volte. Non tanto perché eccessivamente complesso o cerebrale, quanto per il suo essere strano e bizzarro. Il nuovo disco del progetto The Algorithm, alias Rémi Gallego, giovanissimo compositore e chitarrista, si dimostra opera a due facce: una rivolta verso il djent (tecnicismi assortiti ed imprevedibili alternati a sonorità math-rock/metal), mentre l’altra guarda ad un sound futuristico pieno di alterazioni electro/trance (spesso al limite con la dance più ipnotica), utilizzate in maniera massiccia.
“Boot” apre il disco con chitarre metalliche, tecnicismi strumentali e tanta elettronica. Quest’ultima è una delle peculiarità messe in luce fin dall’inizio del disco, presente per tutta la sua durata. “Floating Point” raddoppia la dose bombardando l’ascoltatore con bordate electro/dance ancor più veementi, aumentando anche la potenza del riffing chitarristico. I pattern ritmici cambiano continuamente, rendendo il brano molto dinamico ed interessante. “Pointers” sembra la continuazione del pezzo precedente, fino a quando la drum machine non impazzisce ed il pezzo evolve trasportando la mente in qualche club alternativo, colmo di luci e corpi che ballano senza sosta. La titletrack è un tripudio di tastiere, elettronica e beat impetuosi: nonostante la chitarra tenti di esprimersi, viene completamente annientata dalla componente digitale. “User Space” invece profuma di trip/hop (Massive Attack con qualcosa dei Depeche Mode), risultando essere una sorta di ballata dai ritmi rallentati, una piccola gemma pregna di atmosfere evocative e melodie riuscitissime. In “Hex” tornano protagoniste le chitarre, mischiate a parti danceable con forti iniezioni melodiche trascinanti.
L’ultimo trittico di canzoni contiene altri interessanti spunti di ascolto. “Deadlock” (scritta in collaborazione con Igorrr, noto produttore francese) è una mazzata pesantissima e disturbante, che riporta alla mente qualcosa dei Prodigy, breve ma comunque intensa. “Rootkit” riporta i padiglioni auricolari in un’ipotetica sala da ballo dispersa nello spazio profondo, grazie a beat allucinanti e melodie ipnotiche, seppur minimali. La finale “Trojans (hard mode)” è una riedizione di un pezzo già apparso in uno degli album precedenti. Questa versione amplifica la potenza dell’originale, trasformando la traccia in un caos totale: l’immagine che porta con sé è quella di un computer impazzito disperso all’interno di una supernova.
Brute Force è un’opera difficile, che necessita di una notevole apertura mentale. E’ allo stesso tempo un disco che può essere apprezzato da molteplici ascoltatori, come pure può essere snobbato per la sua identità distante dai tipici canoni stilistici a cui sono abituati gli appassionati di musica avanguardistica. Merita comunque un ascolto, perché potrebbe rivelarsi una piacevolissima sorpresa.
(FiXT, 2016)
1. Boot
2. Floating Point
3. Pointers
4. Brute Force
5. Userspace
6. Shellcode
7. Hex
8. Deadlock feat. Igorrr
9. Rootkit
10. Trojans (Hard Mode)
7.0