Oltre dieci anni sono passati dal disco precedente, quello di debutto, e la voglia di musica, per i Sons Of Alpha Centauri, non si è mai spenta. Il quartetto inglese fa il suo ritorno con il qui presente Continuum, descritto come un epico viaggio musicale scomodando addirittura gli Isis come metro di paragone. Andando nello specifico, il gruppo si avvale di un prog rock decisamente oscuro mescolato al rock alternativo con qualche sfumatura psych. Dopo così tanto tempo ci si si aspetterebbe un ritorno tutto fuoco e fiamme ma le cose non sono andate così come si sperava.
I problemi, va detto subito, non sono pochi. Nonostante una produzione davvero nitidissima e cristallina, che forse è l’unica cosa che salva i brani dal baratro, l’intero album soffre di un processo compositivo a livelli davvero preoccupanti. Tralasciando intro ed intermezzi vari (di cui “Orbiting Jupiter” totalmente fuori luogo; pezzo pianistico dai toni classici) tutto si basa sull’ombra preponderante dei Tool, ma se band come i Soen hanno saputo ricamarci sopra delle trame sonore convincenti, ciò non si può dire dei SOAC.
Tutte le tracce sono strumentali, senza il minimo guizzo creativo e talmente monotone da portare alla noia. L’iniziale “Jupiter” sembrava anche interessante con quelle trame acide e storte, quasi disturbante ma nel giro di poco diventa ripetitiva non andando da nessuna parte. Stesso discorso per la statica “Io” dove pare che ogni musicista vada per conto suo senza che nessuno stringa un legame con l’altro. Non va meglio con l’infinita “Interstellar” che al contrario dell’evocativo titolo si rivela canzone debole e poco creativa con un fare pretenzioso, che vorrebbe essere psichedelica senza sapere minimamente come farlo. Le schitarrate buttate lì a casaccio risultano solamente irritanti ed al limite del ridicolo. L’apice si raggiunge con la disastrosa “Return Voyage”, un massacrante pezzo di oltre dieci minuti dove i Tool sono troppo invadenti. Il brano poi è talmente fiacco e povero di idee (soprattutto nel lavoro alla sei corde) che arrivare alla fine risulta un’impresa davvero epica. Solo “Solar Storm” si salva dal disastro con quel suo incedere stoner, le sue tastiere visionarie ed un lavoro solista riuscito e sognante.
Ci si chiede come sia possibile un lavoro così pessimo e davvero troppo di mestiere, dato che i musicisti non sono certo stupidi o poco dotati. Disco da dimenticare purtroppo. Speriamo che la band si possa riprendere al più presto!
(H42 Records, 2018)
1. Into the Abyss
2. Jupiter
3. Solar Storm
4. IO
5. Surfacing for Air
6. Interstellar
7. Orbiting Jupiter
8. Return Voyage