Da un panorama che sembra progressivamente addentrarsi sempre più verso prodotti specifici, ma nondimeno ispirati, il frangente underground del black metal americano vede l’inserimento all’interno del proprio catalogo, in contropiede e dopo un silenzio di ben nove anni, il primo full length degli Ayr, dal North Carolina. A quanto pare però The Dark è stato ufficialmente maturato in soli due anni, poiché la band ha trascorso un periodo di iato iniziato nel 2011, ovvero successivo al rilascio del terzo EP Nothing Left to Give (Nervous Light, 2011). Tale stasi è stata poi spezzata con la ripresa delle attività appunto nel 2018. Riflettendo sulla natura del musicista però difficilmente viene da pensare che nei nove anni di fermo gli Ayr non abbiano sviluppato delle idee che sono state, parzialmente o meno, poi concretizzate in The Dark, che vede il suo rilascio in data 24 Luglio 2020, in edizione vinile tramite Wolves of Hades ed in CD e tape cassette tramite The Hell Command.
Se ufficialmente i lavori per la realizzazione dell’album si sono svolti in due anni. ovvero un tempo di gestazione più che ragionevole per una release come The Dark, non è improbabile pensare che questa o l’altra invenzione musicale esposta all’interno dell’album sia tratta da idee che sono rimaste chiuse ed accumulate in un cassetto chiuso per nove anni. A testimonianza di ciò vi sono i contenuti del disco, che apre il sipario con l’intro/opening track “Origins in Descent”, ovvero un’ottima maniera per introdurre i brani successivi in modo malinconico e meditabondo, tramite i suoi soli elementi di chitarra acustica, pioggia ed ululati in lontananza, riconducendo ad una desolazione nordica/pagana forse non esattamente propria alla band e che può aver fatto storcere il naso solo per un attimo, recuperando subito però con la seconda traccia “Where All Light Dies” dove viene dispiegato un atmospheric black metal di prim’ordine, che punta con decisione al panorama europeo contemporaneo dei Wiegedood (ed in altri momenti anche ad altre istanze di Church of Ra come Oathbreaker ed Amenra), Regarde les Hommes Tomber ed, inequivocabilmente, Mgła, però rielaborando brillantemente tali stilemi tramite soluzioni armoniche interessanti ed il contributo, tanto marcato quanto pertinente, di pad e synth che gettano, insieme ad un basso che si è ritagliato agevolmente il suo spazio sonico anche grazie ad un tono vibrante e roccioso, delle solide fondamenta ad un approccio compositivo che indirizza molto al post-metal con la sua ipnosi, con gli elementi ritmici ostinati, con le melodie malinconiche e con le linee di chitarre ossessive che nelle sezioni di più intensa dinamica (grazie anche all’apporto dei riverberi/delay) diventano anch’esse pad e vivono in sinergia con i synth. Se dunque questo opus sa di modernità, però, lo fa a fasi alterne, volutamente. Basti analizzare l’intro/opening di chitarra acustica e lupi nel buio, che riconduce l’immaginario ad una foresta dello Jotunheimen in inverno, seguito da un ispiratissimo brano alla maniera dell’atmospheric black metal odierno, a sua volta seguito da Worship the Dark, ovvero un intermezzo atmosferico di chiara ispirazione Burzumiana, sia nelle dinamiche che nelle sonorità. Possibilmente tale interludio vuole essere un chiaro tributo alla produzione atmosferica di Varg Vikernes. Tale intermezzo, nel complesso di The Dark, risulta piacevole, seppure al primo play contrasta la scorrevolezza dell’ascolto, riscattandosi però ai successivi giri dell’album, facendosi anche forte di una nostalgia piuttosto imprescindibile nell’ascoltatore, volendo. Questa release ha comunque modo di poter dispiegare il suo aspetto duale con comodità durante i 37:42 minuti di playing, alternando puntualmente una traccia atmosferica dark ambient ad un (più canonico) brano atmospheric black metal. Le migliori caratteristiche di quest’ultimo sottogenere musicale vengono sottolineate anche dall’ampia durata dei brani che vanno dai più di sette minuti ai più di dieci minuti, permettendo di esporre la trance ipnotica, le melodie e le texture sonore con in tempi adeguati. Nella composizione il trio americano pare avere le idee ben chiare, testimoniandolo nel songwriting che, seppure votato all’erosione per mezzo di elementi ostinati, risulta far tenere per la maggior parte del tempo alta l’attenzione, facendone evincere una certa maturità. Tale maturità poi sembra fare un passo indietro (seppure non eclatante) nelle tracce dark ambient, che per quanto ben organizzate, espongono il loro contenuto e sortiscono il loro effetto efficacemente già ben prima del loro termine, risultando talvolta prolisse, nonostante i contenuti siano interessanti e carichi di espressività, perlopiù drammatica. Nelle vocals del cantante, chitarrista e keyboardist Rick Contes risiede uno dei punti forti del disco. Tali vocalizzi sono un potente mezzo di trasduzione del contenuto strumentale, che viene qui interiorizzato, quindi liberato tramite scream che non eseguono movimenti ampi e volutamente restano saldamente ancorati ad una sola tonalità. Le parti vocali sono dilazionate con morigeratezza ed austera, ma profonda, espressività. A chiusura di The Dark probabilmente è stata posta la traccia più ispirata del disco “Sever the Golden Chain”, il cui riffing sa di grande estetica post-metal, approcciando un senso melodico denso di pathos alla Brutus maniera, ma contestualizzato nel genere, quindi esibendo in questa traccia un compendio, ben equilibrato, della sopracitata dualità. Il comparto tecnico/sonico è adeguato ai contenuti esposti, nonché perpetrato in fase di tracking e mix dallo stesso Rick Contes al Seven Doors Audio Recording, scartando dunque ogni qualsivoglia gap tra idea sonica/creativa della band ed interpretazione del tecnico. Sarebbe risultato gradevole avere le vocals più presenti, ma appellandosi alla scelta artistica esse risultano comunque poste nei limiti dell’appropriatezza all’interno del mix.
Dunque il primo full length degli americani Ayr è un disco ispirato e ben ponderato, che fa il passo oltre la linea della maturità, ma che a volte inciampa, non conseguendo la suddetta a pieni voti. Si potrebbe pensare a The Dark come alla somma, relativamente forzata, di un EP atmospheric black metal ed un EP dark ambient, tutto sommato riuscendo a mescere bene questi due aspetti dopo i primi play del disco. Nella sua dualità riesce anche (spesso, ma non sempre) a trovare un equilibrio, coadiuvandoli di un estetica post-metal molto marcata e ben riuscita. Vero è che dopo nove anni di stasi la band ha sicuramente avuto il tempo di raccogliere delle idee, ma la piena ed immediata magnificazione delle stesse non è scontata. Quest’ultime sono comunque autentiche, attuali ed intrise di espressività a cui non si può restare indifferenti, rendendo The Dark un disco di grande valore, ma che va digerito senza fretta.
(The Hell Command, Wolves of Hades, 2020)
01. Origins in Descent
02. Where All Light Dies
03. Worship the Dark
04. Swallowed
05. Return to the Void
06. Sever the Golden Chain