“Siamo troppo stanchi e non abbastanza tosti per essere un branco di metallari sulla scia di Isis e Neurosis!”. Era il lontano 2007 e, al netto della stima incondizionata precedentemente espressa per i due totem citati, con queste parole i membri di una band allora al debutto provava a mettere a fuoco le coordinate artistiche della propria proposta, manifestando fin da subito una più che discreta refrattarietà alle classificazioni troppo superficiali, unitamente a un’innata propensione per traiettorie poco ortodosse.
L’allora quintetto francese degli Year Of No Light aveva all’epoca incendiato il cielo post-metal con un’opera prima come Nord che, al netto delle dichiarazioni di intenti dei protagonisti, era stata comunque in grado di solleticare i palati sopraffini dei discepoli dei due monumenti d’oltre Atlantico, senza contare i richiami altrettanto significativi alle coeve prove di Amenra e Cult of Luna. Subito dopo, però, i ragazzi di Bordeaux avevano deciso di rinunciare all’apparato vocale e, al di là del dibattito se la strumentalità pura sia o meno la forma “aurea” per antonomasia per chi scelga di avventurarsi nell’universo post comunque declinato tra rock e metal, a partire dal successivo Ausserwelt si erano concentrati sulle potenzialità delle contaminazioni con i territori doom, drone, shoegaze, ambient e progressive, spingendosi fino all’incontro con le liofilizzazioni di marca Godspeed You! Black Emperor. Nel frattempo, la line-up della band si era stabilizzata nella dimensione tre chitarre/due batterie/basso/tastiere, privilegiando una resa contemporaneamente di grande impatto e pari raffinatezza che ha dato il meglio di sé nel 2013, vero e proprio annus mirabilis complice la doppia uscita Vampyr/Tocsin, con il primo platter destinato alla cinematografia come colonna sonora di un film muto degli anni Trenta e il secondo come inequivocabile prova di maturità di un combo capace ormai di maneggiare magistralmente monoliti nerissimi e squarci onirici. Da allora, a parte qualche fugace apparizione in modalità split e singoli, degli Year Of No Light sembravano essersi perse le tracce e questo Consolamentum sopraggiunge dunque più che opportunamente a sgombrare il campo dai timori di una prematura dipartita dalle scene. L’inclinazione all’eresia si prende stavolta il proscenio fin dalla scelta del titolo, che fa riferimento al sacramento del battesimo impartito dai Catari con le sole parole del rito e l’imposizione delle mani, senza il ricorso alla funzione purificatrice dell’acqua. E anche stavolta i Nostri non tradiscono le attese (e la propria storia), confezionando un lavoro dalle mille sfaccettature e dai mille contrasti, con un coefficiente di difficoltà di fruizione altissimo che pretende un’immersione totale e sconsiglia approcci superficiali o di semplice passaggio, del resto fuori luogo già dopo una rapida occhiata alla durata chilometrica delle singole tracce. L’asse portante dell’album ruota sempre intorno al rapporto tra doom e post, ma lo scenario è complessivamente trasportato in una sorta di dimensione space/cosmic, non tanto secondo i dettami canonicamente declinati di un sottogenere pentagrammatico, quanto piuttosto alzando lo sguardo verso un cielo che, lungi dall’essere il luogo di elezione di pace e quiete a uso e consumo dei poeti, è invece il palcoscenico su cui si affrontano le forze che lottano per dettare legge nel nostro spicchio di infinito o presunto tale. A bordo di una sorta di navicella spaziale, eccoci allora spettatori dello scontro tra materia ed energia, con la concreta pesantezza del doom insidiata da scariche telluriche figlie delle ascendenze core della tradizione post, senza dimenticare i momenti di temporaneo abbandono in cui sono le onde drone o ambient a occupare il centro della scena, perché anche il vuoto può diventare soundtrack. E’ il caso ad esempio dell’opener “Objuration”, che passa con disarmante naturalezza da un avvio in totale assenza di gravità a un corpo centrale segnato da un cadenzato incedere quasi solenne, prima di intercettare lampi che illuminano sinistramente la rotta. Anche la successiva “Alétheia” sfrutta il dualismo tra i momenti paesaggistico/contemplativi dei primi solchi e un finale che scarica la tensione accumulata in una resa quasi marziale, ma è bene non illudersi mai di aver individuato in via definitiva la chiave interpretativa della poetica della band, perché, al contrario, l’imprevedibilità delle strutture è una delle armi principali nelle mani del sestetto aquitano, come ampiamente dimostrato da un brano come “Interdit aux Vivant, aux Morts et aux Chiens”, intriso di suggestioni neurosisiane della stagione Souls at Zero che conducono a uno strappo finale claustrofobicamente segnato da visioni al limite dell’allucinazione. Schizzi di fango sludge, psichedelia e ricami di sei corde che si dipanano lentamente dal cuore pulsante delle pelli percosse dal duo Mégemont/Sébenne sono il tratto distintivo di “Réalgar”, singolo rilasciato in anteprima dalla Pelagic Records e potenziale best of del lotto, ma forse vale la pena premiare la conclusiva “Came”, vertice assoluto del platter per coraggio e capacità di sperimentazione. Un tappeto electro disteso da un tripudio di tastiere sotto cui gorgogliano linee melodiche addirittura accattivanti, un crescendo quasi liturgico che sembra annunciare una delle esplosioni multicolori di scuola Cult of Luna e invece… niente di tutto questo, perché la seconda metà della traccia è un trionfo di dissonanze drone che distorcono l’equilibrio spazio/tempo, come se l’approdo del viaggio fosse l’inevitabile cattura nel raggio d’azione di un vorace buco nero che celebri la definitiva vittoria dell’energia sulla materia.
Difficile, oscuro, densissimo, cinematograficamente visionario, curato nei minimi dettagli, Consolamentum è l’album perfetto per celebrare con tutti i fasti del caso il ventennale di una carriera che ha sempre meritato molte più luci della ribalta di quante ne abbiano effettivamente illuminato il percorso. Bentornati, Year of No Light, un posto nei consuntivi di fine anno è anche stavolta meritato e garantito.
(Pelagic Records, 2021)
1. Objuration
2. Alétheia
3. Interdit aux Vivants, aux Morts et aux Chiens
4. Rèalgar
5. Came