Il ventunesimo giorno del maggio del corrente anno una minacciosa presenza si è sollevata insinuante dal suolo francese, proiettando la propria ombra carica di mistero sull’underground musicale intero. Il nuovo lavoro della one man band d’oltralpe Esoctrilihum è ben di più di un arrangiamento musicale, di una giustapposizione di suoni e note a comporre una melodia. È ben più di un viaggio nel bestiario orrorifico e mitologico che popola la mente del misterioso Ashtâghul, eminenza grigia dietro al progetto. È un’opera totalizzante ed enciclopedica, possente nella propria estensione fatta di un’ora e un quarto di brani e di continui richiami e citazioni, insieme antichi e moderni. È uno scandalo musicale, un bordello sonoro di influenze, rimandi, suoni, rumori… un enorme serpente che si contorce, che si strappa brandelli di carne e li sputa nella polvere, in una danza di un’eleganza ammaliante.
Dy’th Requiem for the Serpent Telepath esce questa primavera all’ombra dell’ala della nostrana I, Voidhanger Records, già distributrice dei due precedenti lavori degli Esoctrilihum. L’opera, come già prosaicamente anticipato, ibrida una base di black metal moderno con numerose influenze, dal death al folk, dallo speed all’ambient allo space rock, sfruttando accorgimenti elettronici, campionamenti, tastiere, legni… Il lavoro si propone di allungare ed allargare il solco tracciato dagli ultimi due album del progetto, Eternity of Shaog (2020) e The Telluric Ashes… (2019), riuscendoci nel migliore dei modi grazie ad un intelligente recupero di quanto di meglio dato da entrambi e ad un ispiratissimo innesto di nuove, spettacolari invenzioni. Dy’th Requiem… si apre come meglio non potrebbe: un riffone heavy metal a cui restano però sottese delle note di synth: in meno di un minuto l’anima pesante, metallica e quella onirica dell’album ci vengono introdotte, a fare da incipit alla messa funebre a cui assisteremo. Il resto della opener, “Ezkikur”, procede in un alternarsi di tastiere dalle note allungate e doppi pedali, in uno zufolio intarsiato da una voce tronca, smangiata e gutturale. La funzione procede con l’ancor più mistica “Salhn”, aperta da un violino che è più una lama che uno strumento musicale; il subentrare di cori e lo scampanellio dei piatti sublimano la pesantezza delle chitarre, posando la prima pietra di quella cattedrale che entro la fine dell’album sarà alta come il cielo. Superati i riti di introduzione, le influenze si moltiplicano e portano il conoscitore ad un piacere quasi fisico: l’organo di “Tyurh” richiama alla mente i pellegrinaggi spaziali degli Oranssi Pazuzu, i suoi riff alti ed affilati un tech-death che cade dal cielo come una stella di ghiaccio, le sue campane tibetane allargano il cuore. Con “Baahl Duthr” si volta la pagina del breviario: il suo death rotondo e schietto alla Bloodbath è innervato di melodie elettroniche e cori ammalianti (“…the darker sky / the darker moon…”), a custodire quello che è uno dei breakdown più interessanti che abbia mai sentito. Il brano ci ha introdotti nella sezione più aggressiva e oscura del lavoro, un insieme di canzoni dalle cadenze quadrate, sgrezzate da chitarre massicce e soffocanti vocals, vomitate in un gorgogliare di saliva velenosa. Risaltano su tutte le riuscitissime “Engibaal” e “Dy’th”: la prima un coro infernale che ricorda il black degli ultimi Auroch e che nella seconda metà si trasforma in un pastiche industrial/synth di ossidiana che è uno dei momenti musicali dell’anno, la seconda un quasi brutal death che potrebbe comparire in un album di cover dei Russian Circles suonate dagli Hour of Penance. “Craânag”, una composizione di archi e cupi colpi di grancassa, funge da intermezzo tra l’epica prima parte dell’album e la sua conclusione, iniziando a tessere architravi sopra le vertiginose volte che si sono innalzate sotto gli occhi dell’ascoltatore. Tirando una somma provvisoria, abbiamo che le prime sette tracce di Dy’th Requiem molto devono, per struttura e utilizzo di sintetizzatori e melodie orchestrali, al precedente Eternity of Shaog, limitandone la componente psych/doom e meglio adattandosi al pur sempre presente sostrato black. Gli ultimi brani si presentano molto più crudi e diretti, quasi un ritorno alle origini o uno sfogo finale dell’artista francese: le candele oramai consumate e il fumo disperso dell’incenso si fanno testimoni di un abbrutimento della composizione, di ritmi più slabbrati che, però, non perdono mai la regalità dell’ufficio religioso a cui stiamo presenziando. Il black gelido di “Nominčs Haŕr” si coniuga ottimamente con i ritmi conturbanti della successiva “Xuiotg”, colonna sonora perfetta per uno psichedelico viaggio su un pianeta cadavere. Tutto è soffocato da vocals lacerate, più distese e granulose di quelle dei primi brani. Le esequie terminano con l’intonazione di “Hjh’at”, una nenia di violini e doppio pedale che suonerebbe come un «Andate in pace!» se il Serpente Telepate di cui abbiamo appena sepolto il corpo non si fosse già, nell’eterno uroboro della vera Arte, rialzato dalla propria tomba.
Il meraviglioso artwork che accompagna l’opera ben racchiude in sé le principali caratteristiche del rituale appena conclusosi. Sopra alle molteplici presenze che popolano il grimorio di Ashtâghul, partorite dall’underground musicale tutto, si staglia costante e minacciosa la presenza di quel divino Serpente che altro non è che un black metal raffinato, maestoso, di quelli che tutto devono a Deathspell Omega e Blut Aus Nord e che come nessun altro genere sanno farsi impreziosire e influenzare. Il progetto francese riesce, con questo sesto lavoro, a raggiungere e staccare nella corsa alla Fiamma Nera altre realtà fondamentali come Regarde Les Hommes Tomber, Schammasch o Auroch. Gli Esoctrilihum arrivano col capo chino e i ceri in mano sulle soglie del Valhalla della musica estrema. Il loro requiem al Serpente si alza sì sopra i freddi boschi di conifere e i neri mari del nord ma si incide anche nella pietra della storia del metallo, e ogni appassionato dovrebbe dedicarsi per fare in modo che da lì non venga mai cancellato.
(I, Voidhanger Records, 2021)
1. Ezkikur
2. Salhn
3. Tyurh
4. Baal Duthr
5. Agakuh
6. Eginbaal
7. Dy’th
8. Craânag
9. Zhaïc Daemon
10. Nominès Haàr
11. Xuiotg
12. Hjh’at