Quest’oggi ci si sposta a Melines (Melechen in olandese), una città belga situata nella provincia di Anversa, per conoscere il debutto degli Hippotraktor che segue di circa tre anni il primo ed interessante EP chiamato P’eau, dischetto di quattro tracce interamente strumentali. Quel lavoro era pieno di molti spunti interessanti ma per la band, a quanto pare, mancava qualcosa. Ecco quindi che il trio decide di reclutare il batterista/cantante Stefan De Graef (degli Psychonaut) ed il cantante/chitarrista Sander Rom (proveniente dagli L’Itch) trasformandosi quindi in quintetto. Questo disco di esordio, Meridian, cambia un po’ la direzione. Se, in origine, il sound verteva su di un prog/djent strumentale, ora con l’innesto dei due nuovi componenti l’orizzonte si allarga ma forse viene a mancare quell’effetto sorpresa che contraddistingueva l’EP.
Per far comprendere meglio i dubbi e le perplessità del sottoscritto basta ascoltare le prime quattro tracce del disco. Sebbene compaiano elementi post-metal, che rendono più dinamico il risultato, si ha una netta sensazione di già sentito. L’alternante continuo le voci fra scream/growl e cori solenni in pulito (“Manifest The Mountain”) alla maniera dei Leprous ci potrebbe anche stare però poi entrano in gioco i fin troppo abusati riff decisamente tecnici, duri e compressi stile Gojira che fanno rimpiangere quella finezza che c’era in passato. Si è cercata forse la via più facile a suon di atmosfere apocalittiche (“Mover Of Skies”), ritmiche di batteria contorte e glaciali figlie dei Meshuggah con innalzamenti di potenza fin troppo scopiazzati (“God Is In The Slumber”), seppure ci sia un lavoro di basso pieno e deciso. C’è un sentore troppo forte di già sentito ma fortunatamente gli altri quattro brani portano, in qualche modo, un equilibrio. I riff imponenti dell’orientaleggiante “Sons Of Amesha” hanno il loro perché mentre i muri di suono dell’oscura e contorta “Juncture” si combinano al meglio con le pennellate melodiche chitarristiche. Per quanto, a volte spesso, il mood sia cerebrale e contorto non è sempre fine a sé stesso (le peripezie strumentali tipiche del djent a volte esagerano) ma viene sfruttato con intelligenza grazie anche ad un uso della melodia accattivante (“Beacons”) e tirando fuori una classe sorprendente nella finale “A Final Animation”, peccato però non sia stata sfruttata meglio nel corso dell’album. Sicuramente la tecnica non manca a questi cinque musicisti eppure qualcosa è venuto a mancare, quel guizzo geniale forse magari sotterrato dai nuovi innesti in line-up troppo legati a determinati schemi compositivi ma nel complesso il lavoro è comunque buono e degno di nota.
Nessuna particolare novità in questo Meridian, ed è un peccato perché le premesse del primo EP erano decisamente allettanti. Un lavoro più di mestiere che di testa che comunque merita attenzione soprattutto agli appassionati di prog metal moderno.
(Pelagic Records, 2021)
1. Manifest the Mountain
2. Movers of Skies
3. Sons of Amesha
4. God is in the Slumber
5. Juncture
6. Beacons
7. A Final Animation