1. Swinelord
2. New Temples
3. Rites
4. XI For I Am The Fire
5. Hanging Feet
6. Old Lies
7. We Use Your Dead As Vessels
8. Askradare
A fine estate del 2008 quattro ragazzacci svedesi formano quello che sta diventando uno dei gruppi più interessanti della scena black metal/hardcore. Un primo demo esce nel 2009, un omonimo EP un anno dopo; del 2012 è l’esordio sulla lunga distanza, decisamente consigliato, dal titolo I, Gvilt Bearer, mentre lo scorso gennaio è uscito uno split con gli Hexis. Non possiamo che definire i This Gift is a Curse un gruppo prolifico che sembra non accontentarsi mai, sempre pronto a mettersi in gioco. Giunti al secondo full-length, All Hail the Swinelord, pubblicato dalla Season of Mist a metà ottobre, parlarne è doveroso.
Sporco e ruvido, questo lavoro è un ricettacolo di malvagità e di influenze che vanno a pescare in diversi ambiti della musica estrema, amalgamando il tutto in una omogenea sostanza nera fatta di oscurità, velocità, potenza e controllo, quest’ultimo elemento più che necessario per non creare una brodaglia dai mille sapori ma dalla poca sostanza. Rispetto al precedente disco son cambiate parecchie cose: la parte musicale si è fatta più intensa e veloce, i midtempos e le ritmiche maggiormente debitrici al retaggio punk hardcore sono state di molto ridimensionate per lasciare spazio alla componente black metal. Le canzoni in generale sono state inoltre arricchite di parti dilatate che non si riducono a inutile orpelleria da salotto, diventando altresì parte attiva nella costruzione di un’atmosfera intrigante fatta di chitarre e cori effettati, che vanno ad arricchire pezzi come “New Temples”, “XI For I Am The Fire”, “We Use Your Dead As Vessels” e “Askradare”, mutandone improvvisamente gli umori e rendendo ogni pezzo più dinamico, donandogli tratti quasi epici che ben si sposano con la rabbia senza compromessi che scorre liberamente in questo flusso ben direzionato di caos.
Capacissimi di spingere ad alte velocità con riff tesi, gli scandinavi non si perdono comunque in una gara a chi arriva primo: non mancano i rallentamenti granitici che vanno di pari passo a ritmiche cariche di groove volte a spezzare letteralmente le ginocchia, alzando l’asticella qualitativa e non riducendo il tutto a una mera giostra del blast-beat intervallato da momenti al limite dello sludge ripetendo l’esercizio fino alla nausea. Il drumming di Johan Nordlund è ottimale, sempre ponderato e mai insufficiente o esagerato. La voce di Patrik Andersson è perfetta, a suo modo particolare ma con una precisa impronta hardcore, un urlo dall’altrove che scatena brividi per tutta la spina dorsale; unita al marasma generale e a molti azzeccati cori, pare essere l’accompagnamento ideale all’evocazione di qualche demone interdimensionale.
I This Gift is a Curse riescono a discostarsi dall’ormai purtroppo sempre più standardizzato e inflazionato filone del blackened hardcore senza scopiazzare di qua o di là, trasmettendo invece una forte energia e riuscendo oltretutto a risultare di facile ascolto, non perdendosi mai in elefantiaci voli pindarici che non portano a nulla se non allo sbadiglio facile. Non c’è stucchevole virtuosismo, solo chitarre e tamburi da guerra che scandiscono e battono il tempo della furia: in All Hail the Swinelord non c’è tempo per la pietà ma voi trovatene per ascoltarlo, ne vale la pena.
7.5