(Norma Evangelium Diaboli, 2012)
1. Salowe Vision;
2. Fiery Serpents;
3. Scorpions & Drought;
4. Sand;
5. Abrasive Swirling Murk;
6. The Crackled Book of Life
Parlare dei Deathspell Omega (d’ora in poi DSO per comodità) non è mai semplice, l’evoluzione musicale e tematica di questo gruppo ha ben pochi eguali all’interno del metal estremo e la ricerca che vi è dietro sembra sempre sfuggire anche all’ascoltatore più attento. I DSO iniziarono il loro percorso da sonorità decisamente più convenzionali, molto legate a quella frangia del black che si ispira ed omaggia volutamente i Darkthrone, per virare alla luce del terzo album verso qualcosa che col tempo diventerà difficilmente definibile; Si Monumentum Requires, Circumspice segna il cambio di rotta decisivo in direzione di quello che verrà poi chiamato (a torto o non) orthodox black metal, in cui la trattazione del satanismo assume aspetti decisamente più profondi ed inusuali, quasi a livello teologico.
Al variare delle liriche corrispondono riff sempre più caotici, quasi math, che attirano l’attenzione di persone che poco o nulla c’entrano col background precedente dei DSO (i 3/4 di costoro probabilmente non hanno mai sentito una nota degli Hirilorn o dei Clandestine Blaze), aprendo la via alle successive uscite in cui il sound dei francesi viene completamente e continuamente parcellizzato e ricomposto creando soluzioni cupissime (“Mass Grave Aesthetics”) o altre più accessibili e meno criptiche (“Apokatastasis Pantôn”). Nel mezzo si può trovare una gemma come lo split con i connazionali S.V.E.S.T. accanto all’ermetico e forse più inaccessibile Fas – Ite, Maledicti, In Ignem Aeternum, tutti episodi che comunque mantengono una loro specificità all’interno della discografia dei DSO, cosa che Drought sembra non saper fare. Obiettivamente bissare un’uscita come Paracletus potrebbe essere un compito troppo pesante anche per loro, ma negli anni precedenti hanno dimostrato perlomeno di saper manipolarsi a proprio piacimento e senza troppe remore. Per essere più chiari: in questi sei brani ci sono i DSO, ma appaiono stanchi, talmente diligenti al proprio compitino che alla fine non rimane un riff che sia uno in mente a chi ascolta; fra mille cambi di tempo, blast beats violentissimi e dissonanze a profusione ci si perde totalmente. Ma perché questo non succede con le precedenti uscite? Sinceramente è difficile rispondere, perché non ci sono troppe differenza fra Fas – Ite, Maledicti, In Ignem Aeternum o Paracletus e Drought, ma in quest’ultimo sembra non esserci la ricerca che contraddistingueva i precedenti album. Venti minuti per sei canzoni sono effettivamente pochi, le idee non vengono sviluppate a dovere e non bastano le conclusive “Abrasive Swirling Murk” (con un finale splendido) e “The Crackled Book of Life”, forse la migliore del lotto paragonabile al capolavoro “Apokatastasis Pantôn”, per alzare la qualità dei questo ep.
Non ci sentiamo di bocciare totalmente questa uscita (che arriva in concomitanza con una super ristampa della discografia in vinile), ma ci aspettavamo davvero di più da queste sei canzoni. Le buone intuizioni qui presenti si fossilizzano nei brevissimi momenti in cui vengono sviluppate, il senso di brani così brevi (“Sand”, poco più di un minuto) ci risulta davvero oscuro e forse è giunto il momento di capire che il percorso dei DSO è destinato a una fine, una fine che non significa necessariamente lo scioglimento, ma l’impossibilità o la difficoltà sempre crescente di continuare su una strada così particolare e complicata. Il consiglio conclusivo è di rispolverare la carriera del gruppo da SMRC in poi e successivamente passare all’ascolto di Drought, per cercare di contestualizzarlo e magari di trovarne significati e bellezze che il sottoscritto per ora non è riuscito a cogliere.
6.0