(Red Cat Records, 2011)
1. Anger
2. Bitch Witch
3. It Comes Back Real
4. Just to Kill You
5. Killer Instinct
6. Painless Pain
7. Dark Soul
8. Hell
9. Signs Preyer
I Signs Preyer sono una band con una discreta esperienza all’attivo, la loro “carriera” infatti è alle soglie del decennale in quanto i nostri nacquero ad Orvieto nel 2006 per volontà di Enrico Pietrantozzi e Corrado Giuliano, chitarrista e cantante della band ai quali successivamente si si sono uniti Andrea Vecchione Cardini al basso e Giacomo Alessandro alla batteria. Dopo anni passati a suonare in maniera più o meno regolare in tutto lo stivale, dividendo il palco con band del calibro di Corrosion of Conformity, Pino Scotto, Killing Touch e Trick or Treat, nel 2011 danno vita a Signs Preyer, primo full length della band registrato presso il Bonsai Recording Studio.
Il sound della band fonde elementi crossover a partiture vicine a quelle dei primi Metallica, fino ad arrivare toccare lo stoner più puro, il tutto con un piglio decisamente anni ’90 che ha il sapore di un revival tanto retrò quanto apprezzabile in brani come l’opener “Anger”, dove un cantato alla Tool si interseca a strutture rock progressive o nelle quali il lavoro di batteria e chitarra viene fuori in maniera evidente. “Bitch Witch”, il brano che segue, strumentalmente sembra un outtake di The Real Thing dei Faith No More, mentre Corrado Giuliano alla voce ricalca i fausti del primo Sully Erna e dei suoi Godsmack, in un brano pungente e dal piglio decisamente alternative rock che farà felici gli estimatori del sound mai dimenticato delle band succitate, che si conclude con un campionamento a mio parere però davvero fuori luogo (ma probabilmente in linea col testo del pezzo) di un orgasmo femminile.
Su “Dark Soul” viene fuori la vena più romantica e prog del combo di Orvieto, grazie a un pregevole assolo di chitarra che non si può non citare: la preparazione tecnica della band risulta essere davvero di alto livello, e questa è una sensazione che pervade l’ascolto dell’intero disco di questa band. Il disco scorre su coordinate più o meno simili a quelle descritte in precedenza, tra momenti riflessivi e momenti più rock e tirati che compongono quello che è il sound, sicuramente particolare, dei nostri Signs Preyer, autori di un disco azzardato per l’anno in cui è stato dato alle stampe, il 2011 appunto.
Se c’è da muovere una critica, sicuramente non si può farlo riferendosi alle capacità compositive della band, la cura dei dettagli e gli arrangiamenti scelti fanno risaltare la grande esperienza accumulata e sono sintomo di una maturità che non molte band hanno: i pezzi sono strutturati bene e a parte una piccola ripetitività che può venir fuori con l’ascolto del disco, esso è curato in maniera pregevole in ogni minimo dettaglio. Risulta essere invece al limite dell’infantile (ma anche qui è tutta una questione di gusti e prettamente stilistica) la scelta dei titoli delle canzoni, un po’ troppo scontati per una band come i Signs Preyer, che dovrebbe curare anche un piccolo / grande dettaglio come questo invece di lasciarsi prendere dallo scegliere le prime parole che gli vengono in mente. Per il resto, un disco oltre la sufficienza senza alcun dubbio.
6.5