Ad un anno di distanza dalla loro ultima comparsa nel nostro Paese, i maestri del post metal Rosetta tornano in Italia, nonostante il loro ultimo disco, il bellissimo A Determinism Of Morality, risalga ormai al 2010: non stupisce peròrivedere la band in giro per l’Europa a riproporre i pezzi di quel lavoro e dell’altro discone Wake / Lift, soprattutto in un periodo come questo in cui sembra che le sonorità da loro proposte siano piuttosto in voga. Tuttavia, i Rosetta sono sempre stati e sono tuttora un gruppo abbastanza estraneo alle “mode” e per qualche strana ragione la loro musica, qualitativamente superiore a quella di molti altri nuovi “eroi” del genere, sembra non abbia presa su un grandissimo numero di persone. Non c’è tantissima gente al Voodoo Club di Comacchio in questa afosa serata di metà luglio, nonostante il bill della serata proponesse band spazianti tra i generi più disparati: noi abbiamo goduto molto di questa eterogeneità, non tutti però evidentemente son stati del nostro parere…
Rosetta + Kings Destroy + Chambers + Abaton
Voodoo Club, San Giuseppe di Comacchio (FE)
10 / 07 / 2012
ABATON
Saliti sul palco dopo l’esibizione dei loro compagni d’etichetta Attic (che purtroppo non siamo riusciti a vedere on stage), i forlivesi Abaton offrono ai presenti la loro classica scaletta e la loro classica esibizione oscura e coinvolgente: abbiamo visto diverse volte i cinque romagnoli live, e dopo averli criticati ai tempi delle prime uscite, in cui ci sembravano un po’ acerbi, li abbiamo sempre elogiati parlando delle loro prestazioni sul palco e su disco. Il sound della band, che mescola vaghi elementi postcore ad atmosfere black e sludge, dal vivo ormai rende sempre a meraviglia, grazie anche ai due cantanti che hanno approfondito sempre di più l’idea di differenziare maggiormente le proprie timbriche vocali, raggiungendo una maggiore espressività corale, così come è differente, almeno in questa occasione, anche il loro rapporto col pubblico; mentre Silvio è sempre rimasto ai limiti del palco, Pedro ha passato la maggior parte del tempo di spalle volto verso la batteria, atteggiamento questo che tendenzialmente c’infastidisce abbastanza ma che stavolta possiamo perdonare, visto che non ha portato all’assenza di un reale frontman. Detto di un Burba che assomiglia sempre di più a Bill Kelliher dei Mastodon, possiamo chiudere semplicemente con la speranza che il prossimo disco della band continui a confermare le buone opinioni che ci siamo fatti su di loro.
CHAMBERS
I Chambers sono forse il gruppo più atipico questa sera, e questa loro diversità ha portato la maggior parte dei presenti a disinteressarsi della loro esibizione, purtroppo. La band viene da Pisa e s’inserisce nella gloriosa e spesso troppo sottovalutata tradizione dello screamo cantato in italiano, movimento che nel nostro paese ha sfornato tante validissime band ben lontane dagli standard statunitensi e dotate di forte personalità e ispirazione; gli stessi Chambers sono formati per tre quinti da ex membri dei mitici Violent Breakfast. Le premesse dunque erano più che buone, peccato che i ragazzi non siano stati molto aiutati dal contesto a fornire una prova che ci potesse esaltare quanto ha fatto il loro disco La Mano Sinistra. Inizialmente, è stato difficile capire quanto stavano suonando, e pure gli stessi ragazzi sul palco sembravano infastiditi da qualche errore nella regolazione dei suoni. Col passare del tempo le cose sono migliorate a livello strumentale, mentre la voce di Andrea è stata spesso messa in secondo piano: peccato perché il singer è sembrato parecchio carico, e perché i suoi bellissimi testi non sono probabilmente stati distinti alla perfezione da chi non li conoscesse già. Aggiungete che in piedi sotto al palco eravamo davvero una manciata di persone, e capirete che, anche per la band stessa, questo probabilmente non è stato uno show particolarmente memorabile. Peccato davvero, perché i Chambers sembrano una band che bada minuziosamente ai dettagli, e comunque i ragazzi hanno suonato bene, semplicemente non c’era un pubblico disposto a farsi coinvolgere ed emozionare dai bellissimi pezzi da loro composti. Speriamo di rivederli presto, magari nelle condizioni ideali perché possano esprimersi al meglio.
KINGS DESTROY
I Kings Destroy sono l’unico supporter del tour europeo dei Rosetta. Sono americani e sono composti da membri di due storiche hardcore band come Killing Time ed Electric Frankestein, ma suonano uno stoner / doom totalmente derivato da Black Sabbath et similia. Fin dalle premesse sembra di parlare di un progetto nato per puro divertimento, e lo show di questa sera non ha fatto altro che confermare quest’opinione. Anche in questo caso non c’è stata affatto partecipazione da parte del pubblico, praticamente interamente seduto sui divanetti collocati all’interno del locale (ma la maggior parte della gente è rimasta fuori), ed evidentemente pure la band s’è adattata all’atmosfera: dopo un inizio più serioso, hanno cominciato a suonare unicamente per divertirsi, passeggiando o addirittura sedendosi sul palco guardandosi ridendo, in un piacevole cazzeggio culminante nel calvo cantante che, con passo molleggiato, è arrivato fino a dietro il bancone del bar ammiccando verso le bariste, concludendo la sua camminata dietro le quinte. La proposta dei Kings Destroy, anche dal vivo, s’è rivelata totalmente derivativa ma comunque godibile, e i ragazzoni hanno regalato in fin dei conti uno show convincente che, anche se probabilmente non ricorderemo così a lungo, ci ha fatto comunque sorridere. Può bastare, per un gruppo che volutamente si prende poco sul serio e che sembra nato come mero divertissment.
ROSETTA
E’ ormai l’una e un quarto quando i Rosetta cominciano a suonare: un orario leggermente proibitivo in una serata che prevedeva cinque gruppi, che forse ha minato la freschezza dei quattro americani. Intendiamoci, la musica dei Rosetta è principalmente “da viaggio”, non ci si deve aspettare chissà quali acrobazie on stage, ma comunque i tre strumentisti sono sembrati un po’ fiacchi, nonostante abbiano fornito una prova assolutamente priva di sbavature. Discorso diverso per Armine, che ha passato tutto il concerto a ridosso del pubblico, finalmente aumentato (probabilmente sedute in giro per il locale c’erano molte più persone di quante ne avessimo notate nelle pause tra uno show e l’altro). L’occhialuto singer ha offerto una prova convincente, cercando d’interagire con le prime file comunque piuttosto ferme e limitandosi a poche parole tra un pezzo e l’altro; diciamo che i Rosetta hanno fatto parlare più che altro la musica per loro, scorrendo il proprio repertorio in una manciata di pezzi, per uno show di quaranta/ quarantacinque minuti, concluso con la titletrack dell’ultimo disco A Determinism Of Morality seguita da qualche richiesta di bis caduta però nel vuoto (crediamo però più per volontà della band che per restrizioni d’orario del locale). In poche parole, il quartetto americano ha offerto un concerto unicamente per gli appassionati: la riproposizione dei brani è stata fedelissima, per carità, ma non ci sono stati particolari sforzi per coinvolgere gli spettatori, mentre avevamo sentito da più parti di un Armine decisamente più hardcore in certe occasioni. Sarà stata la stanchezza, sarà stato che anche il pubblico non s’è fatto particolarmente trasportare (ma ormai da queste parti non ci si muove più neanche ai concerti HC), ma probabilmente se ci fosse stato qualcuno che non conosceva i pezzi del gruppo, non se ne sarebbe innamorato solo per la performance di stasera. Noi, che adoriamo gli ultimi due dischi di questa band superlativa, siamo stati comunque molto soddisfatti e contenti di esserci lasciati cullare dalle melodie spaziali e dai contrasti emotivi di cui sono capaci questi ragazzi. Ammettiamo, tuttavia, che quello di stasera non sia stato certo il concerto dell’anno, e che qualcuno avrebbe potuto legittimamente aspettarsi di più. Magari sarà per l’anno prossimo.