(Autoproduzione, 2011)
1. Letdown
2. Ainsoph
3. Love & Preach Hate
4. Ulysses
5. Vixi
Forse arriviamo un po’ tardi, dato che Ulysses è già il loro secondo EP, ma per noi gli italianissimi Kubark sono una gran bella scoperta. Autori di un sound che abbraccia vari generi, dal post rock all’alternative rock / metal, dal progressive al crossover, questi ragazzi sono capaci di rapire l’ascoltatore e di portarlo per mezz’ora in un’altra dimensione, in una fuga dal caos metropolitano (a cui allude lo splendido artwork) e allo stesso tempo in un viaggio all’interno di sé stessi e di ogni persona che va a comporre quello stesso caos.
Se volessimo dare coordinate più precise per inquadrare le sonorità proposte dai quattro, potremmo indicare nei Tool una delle principali influenze, e allo stesso tempo citare altri due gruppi fondamentali nel panorama musicale odierno come Isis (“Love & Preach Hate” ma anche “Vixi”) e Katatonia (il finale della bellissima “Ainsoph”), che, dopo aver pubblicato i rispettivi capolavori (si può discutere finché si vuole, ma per noi trattasi rispettivamente di Panopticon e Last Fair Deal Gone Down) si sono rinnovati proprio nel segno della band di Keenan e soci. Ma i Kubark vanno anche oltre: la conversazione telefonica che si sviluppa nella prima parte della già citata “Ainsoph” ci ha ricordato certi esperimenti dei Pain Of Salvation in BE e Scarsick, ma tutta la tracklist è caratterizzata da un ottimo bilanciamento tra sperimentazione e divagazioni melodiche, che va a creare una sorta di quadro dalle tinte fosche, una tela malinconica squarciata da colorate esplosioni psichedeliche.
Non vi spaventi però la difficoltà con cui tentiamo di descrivere questo disco, perché uno dei punti di forza di Ulysses è proprio l’immediatezza con cui è capace di avvolgere l’ascoltatore, anche grazie alla notevole abilità dei quattro. La sezione ritmica davvero molto varia, e in particolare delle linee di basso spigolose e costantemente in evidenza, forma l’oscuro cuore pulsante del multiforme sound dei Kubark, mentre la chitarra si esprime in un linguaggio più prettamente rock, spingendosi in campo metal solo quando assume un registro più “post”; a coronare il tutto spicca una prova vocale di elevato spessore, che può richiamare tante cose sentite in campo alternative metal negli ultimi due decenni ma che allo stesso tempo risulta sempre molto personale, grazie ad una voce, sempre “pulita”, fortemente espressiva ed emotivamente coinvolgente.
Ulysses dunque, oltre ad essere un perfetto titolo per un album “da viaggiatori” (anche se la band spiega che il significato è soprattutto ironico, dato che si riferisce al convulso movimento continuo dell’uomo moderno), è anche un perfetto termine di paragone per la band stessa: come l’Ulisse omerico era polymekanòs, “dal multiforme ingegno”, così i Kubark sono autori di una musica dalle tante sfaccettature, che poggia su basi solide e ben conosciute, esplorate da gruppi ormai quasi mainstream, ma che è in realtà lanciata verso profondità ancora inesplorate. Questi cinque pezzi potranno ad un primo ascolto sembrarvi semplici e dalla facile presa, ma arrivati alla fine probabilmente vi troverete a premere nuovamente play, per scoprire gioielli nascosti che ad un primo ascolto probabilmente vi erano sfuggiti; capirete così che Ulysses vi ha ormai rapiti. Disco dolcissimo e graditissima sorpresa.
7.5