(Division Records , 2012)
1. Empire
2. Blindfold
3. Harvest
4. Cleanse
5. Fæmin
Fæmin è senza dubbio l’album della consacrazione per i Process Of Guilt. La band portoghese, salita alle attenzioni della critica e degli amanti del death/doom nel 2006 col discreto Renounce, ha sorpreso tutti tre anni dopo con Erosion, album bellissimo e dalle tante sfaccettature che sapeva combinare alla perfezione il death doom (sullo stile dei primi My Dying Bride o primi Ahab) degli esordi con uno sludge ispirato ed aperto a sonorità vicine al post metal più “classico”. Passati altri tre anni i lusitani, che nel frattempo hanno fatto uscire anche l’interessante esperimento The Circle (raccolta di riproposizioni, più o meno azzeccate, dell’ultimo brano di Erosion), erano chiamati al non facile compito di confermarsi sugli alti livelli raggiunti e magari provare a sorprendere il pubblico internazionale ancora una volta.
Era lecito aver paura che i Process Of Guilt si consegnassero ciecamente al post metal, vista la popolarità che sta avendo il genere ultimamente; tuttavia, basta un ascolto per rendersi conto che in Fæmin non c’è nulla di ruffiano, scontato, prevedibile. Certo, quella componente death doom che costituiva ancora l’ossatura ritmica dei pezzi di Erosion ora ha un peso molto minore, a favore di un approfondimento delle influenze cosiddette “post”, ma la band lusitana gioca con queste sonorità a modo proprio, dimostrando di conoscere la materia e di saperla piegare ai propri scopi, ottenendo un risultato sempre molto personale e palesando solamente una certa ammirazione per due mostri sacri come Neurosis e Godflesh. Alla seminale band di Justin K Broadrick i quattro devono soprattutto le atmosfere “fredde” e le suggestioni industriali che ammantavano un capolavoro come Streetcleaner, disco che ha contribuito a definire il “post metal” quando ancora questo genere non esisteva.
Non perdiamoci troppo in definizioni, perché nessuna di queste rende pienamente giustizia al lavoro svolto dai Process Of Guilt. Fæmin scorre via con una facilità quasi spiazzante (la capacità di sintesi in questo genere può essere determinante!), nonostante sia un opprimente monolite di rabbia e sofferenza, composto da cinque tracce una più bella dell’altra: non c’è un calo di tensione, non un momento di scarsa ispirazione, tutto è studiato nei minimi dettagli e tutto sembra puntare ad un risultato più fruibile rispetto a quanto potevamo sentire in Erosion, ma allo stesso tempo anche decisamente più emotivo. Elementi essenziali per il raggiungimento di ciò sono sicuramente le linee vocali di Hugo Santos, molto più varie ed ispirate che in passato, a tratti fortemente evocative e trascinanti (“Blindfold”), in altri momenti più sofferte e strazianti (il crescendo centrale di “Harvest”); la sezione ritmica è l’altro ingrediente fondamentale che rende l’intera opera così ben assimilabile, grazie ad un lavoro mirato a scandire il tempo in maniera quasi ossessiva, con percussioni che talvolta risultano quasi “tribali” e ricordano appunto i Godflesh di cui sopra. Infine le chitarre, che come già detto hanno abbandonato quel death doom che influenzava le passate composizioni per abbracciare soluzioni che spaziano dal post rock allo sludge, mostrando un gusto per i contrasti melodici che in passato era solo accennato, come in “Empire” o “Cleanse”, tanto accostabili alla banale definizione “post metal” quanto superiori ad essa.
Il disco si chiude con la titletrack, una cavalcata di undici minuti che, soprattutto per il riff iniziale, ricorda pure i nostrani Rise Above Dead (ma Stellar Filth è uscito quasi in contemporanea a Fæmin, ricordiamolo per i malpensanti), e che può essere quasi considerata l’ideale “ponte” tra i vecchi, imponenti Process Of Guilt e questi nuovi, che giunti al terzo full length hanno voluto far vedere al mondo di essere una band che non si accontenta e a cui piace rinnovarsi e sperimentare nuove soluzioni. Probabilmente questo disco amplierà anche il loro bacino d’utenza, ma è qualcosa che questi abilissimi compositori si meritano senz’altro, perché hanno già dimostrato tanto in passato e Fæmin non fa altro che confermare la bontà del lavoro che hanno svolto negli anni. Continuate a tenerli d’occhio.
8.0