(AFM Records, 2012)
1. War is my way
2. Unscarred
3. The cross
4. Cut it out
5. Black flag
6. Private hell
7. 12 Angels
8. Enemy
9. Fuck your God
10 .Never surrender
11. Sick love
12. Feel like this
13. Kill it
14. The pretender
Sono poche le band vissute nel periodo d’oro del nu metal, che va dalla prima metà degli anni novanta fino alla prima metà del duemila, capaci di reinventarsi e di rimanere sulla cresta dell’onda.
Il motivo principale è semplice, i leaders di quel movimento erano ben pochi e dettavano legge, oltre a definire disco dopo disco i trend da seguire: i followers si sono sprecati e difatti nessuno di questi è riuscito a sopravvivere in maniera degna dopo che il nu metal è morto improvvisamente.
Tra le promesse, c’è chi continua a sfornare dischi in ottica DIY come gli HED P.E., chi prova a seguire la strada della melodia fallendo miseramente, come i Taproot, e chi da semplice follower è rimasto tale anche dopo quasi un decennio: ed è il caso degli Ektomorf. Tra le poche band europee ad aver avuto un seguito abbastanza grande, i nostri si sono persi album dopo album, vuoi per la parallela morte dell’intero movimento, vuoi per un songwriting fin troppo derivativo.
Max Cavalera è più di un ombra al cospetto della discografia degli Ektomorf, che non hanno mai fatto mistero del rispetto che provano nei suoi confronti, e le composizioni, anche in questo nuovo disco intitolato Black Flag, strizzano l’occhio tantissimo a Soulfly & Co. Un groove metal ben suonato ma scontato, con zero cambi di tempi e linee vocali monotematiche sono gli ingredienti di questo disco che strizza fin troppo l’occhio alle ultime uscite dei Cavalera Conspiracy. Passaggi di chitarra in delay incontrano tappeti di doppi pedali su cui il cantante Zoltan Farkas cerca sempre di rimanere in bilico tra melodia e voci graffiate mentre canta di problemi sociali e personali in pieno stile nu metal. Le canzoni che compongono questo album si lasciano ascoltare, non ci troviamo di fronte ad un disco suonato in maniera scadente, ma la banalità e la pochezza compositiva la fanno da padrona in un lotto di tracce che non sembra mai dare l’impressione di decollare, ed è una sensazione che pervade tutto l’ascolto. Sembra di essere al cospetto di outtakes dello storico “Roots”, ultimo album in cui Max Cavalera è stato protagonista nei Sepultura, e questo non può di certo essere un punto a loro vantaggio. C’è spazio anche per una cover mal riuscita di “The Pretender” dei Foo Fighters.
Black Flag è un disco ben sotto la sufficienza sotto tutti gli aspetti, dal songwriting alla produzione c’è ben poco da salvare e a meno che non siate dei nostalgici, questo disco va via nello stesso modo in cui è arrivato: in silenzio.
5.0