(Peaceville Records, 2012)
1. The Parting
2. The One You Are Looking For Is Not Here
3. Hypnone
4. The Racing Heart
5. Buildings
6. Leech
7. Ambitions
8. Undo You
9. Lethean
10. First Prayer
11. Dead Letters
Sarebbe bello poter scrivere qualcosa di nuovo sui Katatonia, ma ormai sulla band svedese è stato detto di tutto e loro stessi non sembrano più molto interessati a cambiare troppo le carte in tavola, tanto che il nuovo Dead End Kings potrebbe facilmente essere definito come l’elemento più debole dell’intera discografia della band. Da quando infatti sono stati fulminati dai Tool e hanno rivoluzionato il proprio sound, rinnovandosi musicalmente per andare poi a comporre il capolavoro The Great Cold Distance (le cui fortune erano già state anticipate da Viva Emptiness), sembra che i Katatonia abbiano imboccato definitivamente la strada verso una carriera più tranquilla e magari carica delle soddisfazioni e dei consensi che la band non ha mai ricevuto come avrebbe dovuto.
Sia chiaro, non vogliamo pre-pensionare un gruppo che, oltre ad avere un valore oggettivo incontestabile nella storia del metal (basterebbe citare Brave Murder Day, Last Fair Deal Gone Down e appunto The Great Cold Distance), ha per noi un’importanza enorme, ma tutto l’amore che nutriamo per loro non può oscurarci la vista (o meglio, l’ascolto). Dead End Kings ha caratteristiche molto simili al precedente Night Is The New Day, che già era una versione notevolmente più “alleggerita” del capolavoro targato 2006: parliamo dunque anche in questo caso di un album in cui trionfa l’ormai inconfondibile stile degli ultimi Katatonia, e di per sé questo non è un male, fatto di brani (prevalentemente mid-tempos) malinconici e sognanti che faranno la gioia di tutti gli amanti di certe sonorità ma che risulteranno a tratti troppo prevedibili per coloro i quali conoscano a menadito la discografia della band di Jonas Renkse e soci.
Non stiamo parlando di un album fotocopia, per carità, ci sono elementi che rendono Dead End Kings ben distinguibile dai dischi precedenti: andando più a fondo, si può notare un gusto melodico e atmosferico ancora più marcato, anche grazie ad arrangiamenti più “raffinati” ed un uso di altri strumenti come piano e archi più evidente che in passato, oltre ad un contributo ancora più sostanzioso del tastierista Frank Default. Tutti elementi che giustificherebbero una valutazione ben più positiva di quella che stiamo esprimendo in questa sede, ma che in fondo non aggiungono così tanto di più a quanto già detto in passato dai Katatonia, tanto che alla fine, più dei potenziali “singoloni” in linea con i grandi brani del passato (citiamo qui soprattutto “The Parting” e “Dead Letters”), la più bella sorpresa di tutto il disco la troviamo in “The One You Are Looking For Is Not Here”, nella quale Jonas duetta per la prima volta con una voce femminile, quella di Silje Wargeland dei The Gathering.
Non sembrino queste parole il lamento di un fan scontento: il sottoscritto, come qualunque amante dei Katatonia, attendeva con ansia questo disco e in un primo momento non ne era rimasto affatto deluso, pur riscontrandone l’eccessiva somiglianza con i precedenti lavori. Il punto è che da una band come i Katatonia non ci si accontenta semplicemente di un disco “che riassuma i precedenti” o cose del genere, ma neanche si pretende qualcosa di sorprendente ad ogni uscita. Quello che davvero manca a Dead End Kings, come mancava anche al precedente, è la longevità: dopo averlo sentito almeno quella decina di volte necessaria per recensirlo degnamente, pensiamo che difficilmente lo riascolteremo altrettante volte, preferendogli ovviamente i grandi capolavori del passato succitati. Non stiamo qui a farvi il solito discorso del “se non ci fosse il loro nome sopra sarebbe un gran disco” perché già lo sapete: se siete amanti dei Katatonia, troverete molto gradevole anche Dead End Kings. Se ancora non li conoscete, trovate le giuste coordinate qualche riga sopra.
7.0