(Southern Lord, 2012)
01.Agnus Dei
02.May God Damn All Of Us
03.Violent Infection
04.Geometric Power
05.Post Mortem Nihil est
06.Daily Lies
07.Love Your Enemy
08.Vermin Of Dust
09.Darkness I Became
10. Heretic Temple
11.The Bottomless Pit
12.Obscure Dogma
13.Seven Billion Graves
Ascolto questo disco per la prima volta al termine di una giornata di lavoro piuttosto pesante. L’immediato dopo-lavoro – magari capita anche a voi – è un momento strano durante il quale, calata l’adrenalina alimentata dalle svariate incazzature quotidiane, resta un bisogno estremo di prendere a testate il muro o di dormire per un mese. Il problema è che sono le sei del pomeriggio di un lunedì: per strada non c’è nessun malcapitato su cui sfogarsi, e manco a farlo apposta la settimana è appena cominciata. Agnus Dei dei triestini The Secret si presenta dunque come un efficace “rimedio della nonna”. L’effetto è curativo e rinvigorente fin da subito: dopo averlo ascoltato per intero una prima volta la tensione distruttiva che pervade il mio corpo viene in parte sedata e al suo posto resta una calma che sa di post-bombardamento. Al secondo ascolto riesco già a percepire qualche particolare in più e a tuffarmi nel sound della band.
Il disco sembra iniziare col frammento di una funzione religiosa (una messa vera o una messa nera?) affogato in un mare di feedback. Questione di pochi secondi, comunque, perché in un batter d’occhio si scatena l’inferno. Le prime note chiariscono subito le idee all’ascoltatore: dopo un potente assalto grindcore ecco che una serie di accordoni di chitarra sfasati su un pattern ritmico quadrato marcano l’andamento della titletrack posta in apertura e, come avrò modo di scoprire, in parte anche delle tracce successive. I The Secret propongono suoni gravidi, una voce e delle distorsioni possedute dal fantasma dei Breach del periodo d’oro (tra Venom e Kollapse, per intenderci), una grana delle chitarre che morde come non mai, e in generale un suono che punta allo standard internazionale in ambito post-hc e ne raggiunge le vette con assoluta dignità. Ad avvalorare questa tesi e ad imbastardire ulteriormente i pezzi ci sono sfuriate in blast-beat che ricordano Converge, Nails e Trap Them, accompagnate da rallentamenti schiacciasassi e da atmosfere plumbee e depresso-deprimenti degne dei gruppi succitati, in particolare dei Breach, ma anche di certo black metal ambientale. Insomma, i punti a favore di questo disco sembrano essere molti, ma alle volte non tutto ciò che luccica è oro. È il caso ad esempio della scelta della tracklist: così imperniata su pezzi brevi e tirati, questa fa sì che la tensione non molli mai per tutta la durata del disco, ma la scelta si rivela un tantino deleteria, non esaltando altra dinamica se non quella del pestaggio senza esclusione di colpi, e finisce col rendere il disco un treno lanciato in corsa ad una tale velocità che non si riesce a distinguerne i vagoni. La prima ‘boccata d’aria’ – se la si può chiamare così – arriva dopo nove tracce in completa apnea con “Heretic Temple”, primo vero ‘lento’ del disco, ma si tratta di un sollievo solo a livello ritmico, perché Agnus Dei pare non conoscere aperture melodiche di alcun tipo. Peccato. Superata questa parentesi infatti il disco riprende a snocciolare gli ultimi grani del rosario fino alla funerea conclusione di “Seven Billion Graves”, che fa scendere il sipario su mezz’ora di mazzate. A questa piccola pecca s’aggiunge la natura stessa dei brani, tutti micidiali se inseriti nel contesto del disco, ma poco memorabili se slegati uno dall’altro. Forse però va bene così, questa sembra essere la volontà dei The Secret, e Agnus Dei è uno di quegli album che va buttato giù di un sol fiato, come un thunderbird infuocato o come lo sciroppo per la tosse, quello amaro.
Un’ultima cosa prima di invitarvi all’ascolto del disco. Massicci, potenti e incandescenti come delle locomotive a vapore, questi sono i The Secret, come vi dicevo. Ma il disfattista di turno non si fida delle sole orecchie e del precedente lavoro Solve Et Coagula. Vuole saperne di più, e come un San Tommaso dei tempi moderni si fa un giro in rete per lustrarsi pure gli occhi e s’imbatte in artwork costellati di teschi e ossa e simboli magici, per non parlare di mise rigorosamente in nero, tatuaggi uber alles, sguardi cazzuti che troneggiano sull’obbiettivo e squadrano l’osservatore dall’alto in basso, frangette vedo/non-vedo o emo/non-emo. Insomma – ci si chiede – perché tutti quelli che suonano roba di questo tipo devono evocare così sovente scontate immagini di morte ed indossare una specie di uniforme d’ordinanza? È questo il prezzo da pagare per poter esser inscritti appieno in un certo contesto e concorrere coi grandi nomi della scena internazionale? Bisogna davvero uniformarsi ad un trend per essere un buon gruppo? Quanto pesa l’immagine per un gruppo simile? Esiste una sorta di globalizzazione anche in ambito HC così come esiste altrove? A voi e ai posteri l’ardua sentenza. Certo sarebbe bello se qualcuno cominciasse a discostarsi da certi luoghi comuni magari a partire proprio dal lato estetico – sempre troppo ruffiano – per allontanarsi anche dagli stilemi musicali ed infine approdare – un giorno, chissà – a qualcosa di più personale. Ora basta con le divagazioni, sono qui per parlare di musica, quindi dito al cielo per un gioiellino di manifattura italiana, anche se per fortuna/purtroppo prodotto dall’americanissima Southern Lord (nemo propheta in patria, ahinoi): se questa è la risposta nostrana al post-hc contaminato d’oltreoceano e non solo, allora il bel paese ha ancora delle ottime carte da giocarsi. I The Secret hanno un mucchio di stoffa da vendere e di sicuro ne venderanno parecchia. Abbiate dunque pietà dello sfogo ‘estetico’ di questo miserabile disfattista e correte a comprarvi Agnus Dei: magari non laverà via i vostri peccati, ma sicuramente – saldandovi sul cranio la valvola di sfogo di una pentola a pressione – eviterà di farvene commettere degli altri.
7.5