Il Condorito, un intimo circolo ARCI nella nevosa – soprattutto nelle ultime due settimane – area meridionale della Granda, si trova a Margarita, un minuscolo paesino che non arriva ai millecinquecento abitanti, ma, da diversi anni, è un ricettacolo d’eventi, spettacoli, musica e cultura, coinvolgendo artisti rigorosamente underground, sovente, anche internazionali: il classico luogo che, davvero, non ci s’aspetterebbe, specie in una delle zone più ‘defunte’, sotto un certo profilo, dell’Italia. Allora come mai lo scroller medio delle pagine di GOTR non ne ha mai sentito parlare? Molto semplice: quanto musicalmente capita là dentro difficilmente può sobillare l’attenzione dell’utente medio del nostro sito. Soprattutto negli ultimi anni, complici spettacoli di proto-teatro avanguardistico, cantautorato intellettualoide, tappezzerie con partiture, poster di Batman in pose equivoche, disegni astratti in tonalità seppia, il Condorito s’è confermata una delle Mecche degli hipster che bazzicano Cuneo e dintorni e non hanno troppa benzina per farsi un giro a Torino (da buon capoluogo regionale, decisamente più sensibile al meccanismo domanda-offerta dell’ultima moda che ambisce a voler essere non-moda). Insomma, un concerto a suon di sberle hardcore-punk che vede fronteggiarsi una delle realtà punk rock più impegnate degli ultimi anni, i Quarantena, assieme ad uno dei gruppi hardcore di retaggio ottantiano più amati della nazione, gli Occhi Pesti, proprio in quel luogo suona più memorabile dell’allunaggio di Armstrong (Louis? Lance? Tim…?), nonché – lo spero vivamente – l’apertura d’una nuova breccia, d’un nuovo spiraglio di possibilità per potere suonare certa musica live in una delle zone della nostra nazione in cui, se per ogni sagra del porro e del fagiolo ci fosse un concerto, sarebbe Wacken Open Air trecentosessantacinque giorni su trecentosessantacinque.
Insomma: un concerto, quello della serata del 2 febbraio dell’anno di Grazia 2013, destinato a restare negli annali già solo per via delle premesse e che, per le più svariate ragioni, resterà per un bel po’ nell’immaginario locale, tatuato nella memoria collettiva.
Occhi Pesti + Quarantena
Condorito, Margarita (CN)
2/02/2013
QUARANTENA
Arrivato nel locale addirittura un’ora e mezza prima dell’apertura delle danze, mi sento piuttosto sconsolato a non vedere nessun avventore; per fortuna, basta un’attesa di poco più di una cinquantina di minuti per vedere il piccolo ma accogliente Condorito pieno zeppo di punk e hardcore-kids letteralmente da ogniddove: per una volta gli Apple Fans lettori di Baudelaire dovranno passare le loro serate altrove, perché, dall’alcol che inizia a scorrere a fiumi, dalla divertita confusione generale, al formicolare d’avventori nei dintorni del banchetto della distro – in formato ridotto, ma sempre competitiva – della Tanto di Cappello Records (proprio Alan e Simone, i due axemen degli Occhi Pesti, sono i responsabili della stessa), ci sono le premesse per un macello che non tarderà a mancare. Ad aprire le danze, i monregalesi Quarantena: dei due gruppi, sicuramente, quello meno nel target della nostra webzine. Il suono dei Nostri, infatti, è un punk rock dalle facili melodie, ma sempre tirato, tutto ritornelli da cantare in coro fra un “woooohooooh!” e l’altro, in piena scuola Derozer e vecchi Peter Punk. Non per nulla i Quarantena vantano tre full length – Quarantena, L’Epoca dei Sogni, Tre; l’ultimo sotto la This Is Core Records – che li hanno portati in giro per il Nord Italia e non solo, sovente in compagnia di gente come If I Die Today, L’Invasione degli Omini Verdi, Deep Throat e Pornoriviste. La gente pare conoscere a memoria le canzoni, tutte in italiano: nessun ritornello è stato risparmiato, in un abbraccio punkeggiante collettivo che, con la mente, m’ha riportato ai miei quindici-sedici anni, fra NOFX, Pennywise e Poison Idea. Not my cup of tea, ma una buona, positiva e divertita performance. Alla faccia dell’influenza stagionale che, nonostante tutto, non ha fermato il cantante-chitarrista Giro.
OCCHI PESTI
A chiudere la serata c’ha pensato uno dei quintetti più furenti – posso dirlo con certezza dopo questo 2 febbraio – del nostro Bel Paese, quegli Occhi Pesti autori di quel Sapore di un Pugno che, qualche anno fa, ha fatto sobbalzare sulla sedia tutti i nostalgici di Negazione, Indigesti e Wretched: non è la prima volta che li vedo e sono sempre stato cosciente del fatto che ogni loro pezzo, dal vivo, guadagna in grinta, tiro, velocità e cattiveria molto di più rispetto a quanto reperibile su cd (cercateli: nulla di nuovo sotto il sole, ma spaccano); per cui, insomma, sapevo a cosa stessi andando incontro. Da quando ho memoria, ogni volta che i Pesti suonano, scatta il pogo e, davvero, non ci sono prigionieri. La serata del Condorito non ha fatto assolutamente eccezione: decisamente surreale vedere quel luogo ‘stuprato’ dalla genuina arroganza dell’hardcore; anche se, purtroppo, il labile confine fra divertimento incondizionato e degenero è stato sovente superato. Poco prima di salire sul palco, il chitarrista Simone mi confida che Alan (l’altra chitarra) e Ale (il cantante) sono più alticci del previsto e teme in una prestazione poco convincente: ovviamente, da chi ripropone con cieca attitudine e fedeltà hardcore di matrice italiana anni ’80 non ci s’aspetta la chirurgia esecutiva dei Decrepit Birth, per cui, tutto sommato, qualche bicchiere in più non può che ‘aiutare’. Purtroppo, però, non si può parlare in termini di ‘qualche’: sovente, infatti, il concerto degli Occhi Pesti è stato deturpato da problemi tecnici – cadute continue di bicchieri, aste e microfoni, cavi che si staccavano dagli amplificatori, con feedbacks capaci di coprire qualsiasi rumore nel perimetro di un paio di km dal locale – dovuti più all’alto tasso di spirito alcolico che a … lo Spirito Continua. Ciononostante, i presenti non si sono fatti intimidire, in una mattanza (non sto enfatizzando, avendo visto almeno tre lustri di concerti hc, grind, brutal, fra festival esteri, centri sociali e parties illegali) di pogo che, nel mio immaginario personale, poteva esistere solo ai concerti dei Suicidal Tendencies dei tempi che furono. Il tutto cond(or)ito da un Alan che, in chiusura, ha spaccato la chitarra, sacrificandola ai folli numi del rock’n’roll.
Astonished. Ecco la parola giusta per definire la mia reazione dopo questo live. Preso bene dall’atmosfera e dalla goliardia, da un lato, ma con un malinconico sentore di turbamento a sottolineare che qualcosa non ha funzionato, dall’altro.
“L’hardcore è anche questo”, hanno detto loro dal palco.