(Whosbrain Records, 2012)
1. The Weight Of The Diving Suit
2. Tennis
3. Her First Big Machete
4. Falling Ventilators
5. A Nightlife Technician
6. The Day He Made Up His Mind
7. We Doctors And Coffee Dealers
8. Wyoming
Che sia in atto un revival del noise rock d’anni ’90 (spesso mascherato malamente come “postcore”) è cosa ormai risaputa. Ciò che purtroppo non sarà mai abbastanza noto è che qui in Italia una certa tradizione noise (rock o –core) l’abbiamo sempre avuta: i The Glad Husbands sono solo gli ultimi esponenti a uscire dalla florida “scena” di Cuneo, che si sta ritagliando uno spazio sempre maggiore nell’underground nazionale. Basti pensare anche solo al forte interesse suscitato recentemente dai Dead Elephant, che prima del mastodontico Thanatology proprio dal noise erano partiti.
God Bless The Stormy Weather, il debutto di questo talentuoso trio, è un concentrato di ragionata furia in bilico tra il noise di casa Albini, sia come musicista sia come produttore s’intende, il post rock slintiano e il “diciamo-post-hardcore” degli Helmet. Troppa carne al fuoco dite? Assolutamente no. Semmai si può dire che non c’è niente di nuovo, ma in questo caso ciò che conta è la carica e la credibilità con cui il “genere” viene interpretato. Questo non è un disco per soli amanti del genere, è un album che dovrebbero ascoltare anche tutti quelli che ascoltano Mastodon e The Dillinger Escape Plan senza conoscere Today Is The Day e The Jesus Lizard (non vedete il collegamento? Fa niente…).
Otto tracce, per una mezz’ora di musica in cui l’attenzione resta sempre alta. La durata è quella giusta, la costruzione della tracklist anche: si parte col noise rock schizofrenico dell’iniziale “The Weight Of The Diving Suit” e si arriva al terzo brano “Her First Big Machete”, che parte con rabbia simil-hardcore fino a sfociare in un ben più “emotivamente violento” break che rimanda davvero agli Helmet; la seguente “Falling Ventilators” è l’episodio in cui si sentono maggiormente le suggestioni post rock succitate, che ritornano nella seguente “A Nightlife Technician”. Strumentalmente c’è poco da appuntare ai tre piemontesi, ma vorremmo sottolineare la prova vocale del cantante / chitarrista Alberto Cornero, già nei Lamalora, che passa da un recitato sofferto quasi in stile emocore vecchia scuola ad un urlato “schizzato” fino a ricordare in certi passaggi, l’abbiamo già detto implicitamente, il Page Hamilton più incazzato.
Forse stiamo esagerando, ma non possiamo farne a meno: più lo ascoltiamo, più God Bless The Stormy Weather ci piace. Nulla sembra fuori posto, e anche se gli omaggi e i riferimenti ai loro “numi tutelari” sono molti, i The Glad Husbands ostentano una tale personalità che proprio il termine “derivativo” non ci passa neanche per la testa. Se pensiamo a quanto sonorità simili siano sempre più in voga nel nostro Paese a vari livelli (c’è ancora gente che pensa che il debutto de Il Teatro Degli Orrori sia stato qualcosa di nuovo e non una rilettura in salsa italiana, per quanto gradevole, dei Jesus Lizard), non vediamo perché questi ragazzi non dovrebbero occupare un posto di primo piano negli ascolti di molti di noi per gli anni a venire.
7.5