(Profound Lore Records, 2013)
1. Kilter
2. The Black Wards;
3. Curtain;
4. Plasm;
5. Awryeon;
6. Orbmorphia;
7. Oblotten
Chi segue gli ambienti più estremi del death metal sicuramente già conoscerà gli australiani Portal: nati nel 1994, hanno iniziato col loro primo album, Seepia, a godere di uno status di culto come ben poche altre band a livello mondiale. La loro personalissima rivisitazione del genere li ha portati ad essere uno dei progetti più eclettici, criptici e insondabili dell’intera scena mondiale, merito questo dell’aggiunta all’old school death metal della componente locevraftiana che in questo caso non si applica solo all’estetica, ai testi o all’immaginario, ma rientra appieno anche in tutti gli aspetti della musica del gruppo, sia a livello di atmosfere che di composizione dei brani. Il cammino musicale dei Portal (che condividono batterista e bassista con gli ottimi Impetuous Ritual) è sempre stato ermetico all’inverosimile, dando vita a orrori musicali davvero ostici da digerire e da comprendere anche dopo svariati anni dall’uscita ufficiale. Ci si chiederà: ma anche Meshuggah, Ulcerate o Mitochondrion sono ostici e storti, cos’hanno i Portal di più? Semplice: la violenza, l’abissalità e la capacità di trasportare radicalmente in musica le creature evocate dallo scrittore di Providence, cosa che non riesce a nessun altro a questo livello.
Ovviamente la qualità del loro lavoro non deriva solamente da Lovecraft, il suo ascendente è “solamente” il mezzo perfetto per rendere materialmente fruibile e realizzabile qualcosa che probabilmente sarebbe destinato a rimanere nell’inconscio e descritto come fobia inconscia e paranoica. Con l’ingresso nel roster della Profound Lore per l’uscita di Outre’, il secondo album, la strada è stata spianata: sempre più appassionati di metal estremo e fanatici dello scrittore si sono avvicinati a questa entità musicale riscoprendone anche le uscite precedenti, innalzandola definitivamente a rango di culto con il loro capolavoro Swarth, del 2009. Quest’ultimo sicuramente può essere definito come il disco più estremo e complesso del gruppo australiano, e da questo punto fermo parte l’effettiva recensione del nuovo parto Vexovoid. Sin dai primissimi ascolti ci rendiamo conto di come le aspettative di base siano state rispettate: l’incrocio malsano fra Incantation, Immolation, le partiture più sulfure dei Dead Congregation e la violenza dei Morbid Angel rimane inalterato, ma c’è qualcosa di più, di diverso rispetto al precedente album. L’originalità di fondo è sempre presente, le bordate in pieno stile americano (la brutale “Orbmorphia”, “The Back Wards” o “Plasm”) pure, i rallentamenti e le dissonanze (“Kilter”, “Awryeon” e la splendida “Curtain”, primo singolo reso disponibile) anche, ma c’è qualcosa di diverso: il senso di straniamento non è così penetrante come in passato, sì, sembra che finalmente i Portal siano più accessibili. Dov’è la fregatura? Non c’è. Semplicemente chi è riuscito a districarsi nel labirinto di Swarth troverà sicuramente in Vexovoid un alleggerimento dei brani verso soluzioni più omogenee, più dirette e lineari rispetto al passato recente e non del gruppo, quasi come se ci trovassimo davanti ad una rivelazione faticosamente messa a fuoco. Intendiamoci: non ci sono rammollimenti, tutti i brani qui presenti possono tranquillamente reggere il confronto con una “Omnipotent Crawling Chaos”, una “Glumurphonel” o ancora una “Larvae”, ma risultano stranamente meno ostici del solito. Vexovoid sembra in certi punti riavvicinarsi a Outre’, ma soprattutto a “Werships” e “Merityme”, i due brani posti in chiusura di Swarth, e così capiamo come il cerchio possa chiudersi. Il finale sospeso, impalpabile e quasi indefinito di “Oblotten” rimette però tutto in discussione, di nuovo.
Vexovoid sembra un disco più umano sotto tutti i punti di vista, l’orrore dei Portal probabilmente necessitava di qualcuno che potesse coglierlo: più che davanti al trono di Cthulhu qui ci troviamo alle porte di Innsmouth o Dunwich, dove le peggiori creature sono state richiamate sulla terra dall’uomo, a meno che l’orrore più grande non sia l’uomo stesso. Vexovoid farà forse storcere leggermente il naso ai fan più fedeli ed intransigenti degli australiani, ma il pericolo più grande è che possa aprire le porte a tutti coloro che non ne hanno mai retto più di una nota alla volta, che potranno definirsi ora cultori anche di queste sonorità. Staremo a sentire cosa succederà in futuro, per ora ci riteniamo ampiamente soddisfatti.
8.0