(Debemur Morti, 2013)
1. Ryu/ Tradition
2. Fudo/ The Immovable Deity
3. In & Yo/ Dualities Of The Way
4. Oku/ The Secrets
5. Hodoku/ Compassion
6. Myo/ The Miraculous
7. Hara/ The Center
8. Ku/ Emptiness
9. Shugyo/ Austerity
Nell’affollato panorama post-metal che si è venuto a creare negli ultimi anni di questo nuovo millennio, molte sono state le comete che, dopo esordi e magari secondi album clamorosi ed esaltanti, sono andati via via scomparendo, fino a spegnersi del tutto con improvvisi scioglimenti o, peggio ancora, tornando con la stessa velocità dell’ascesa, nel mortificante oblio musicale dal quale si erano elevati. Chi la dura la vince potremmo affermare, ed i presenti Rosetta, sulle scene dal 2003, sono qui a dimostrarlo esplicitamente con il nuovo The Anaesthete e con l’alta classe che questi brani riescono a sprigionare.
Storica firma della Translation Loss, sinonimo di garanzia certa in merito al roster che l’etichetta americana ha sempre mantenuto e curato, per il nuovo album i Rosetta preferiscono affidarsi alla ben più seriosa e crepuscolare Debemur Morti, altro nome certamente noto a tutti gli amanti di sonorità catatoniche ed abissali. Musicalmente, comunque, il cambio di label non sembra aver intaccato o modificato sostanzialmente il concetto musicale dei quattro di Philadelphia, che nella più classica delle tradizioni americane nel genere, basano la loro proposta su dei continui passaggi e scambi di partiture tranquille e sognanti mescolate a stacchi sporchi e rabbiosi, dove sovente trovano spazio le vocals arrugginite di Mike Armine, che si occupa al contempo anche di effettistica e programming nel platter. Stranamente, l’opener “Ryu/Tradition” non inaugura il nuovo lavoro nel migliore dei modi, mettendo in mostra dinamiche e passaggi strumentali certamente non dei più riusciti, ma già dalla successiva “Fudo/ The Immovable Deity”, tra l’altro la più aggressiva dell’intero lotto, il livello qualitativo si alza decisamente, tornando a mostrarci la classe e la posata violenza a cui il gruppo ci aveva abituato in passato. Rispetto a A Determinism Of Morality il discorso questa volta è un po’ più fumoso ed impacciato, l’album precedente mostrava una determinazione ed una messa a fuoco su determinati obbiettivi non bissata dal nuovo lavoro, tuttavia è impossibile non rimanere incantati di fronte alle melodie avvolgenti ed ai sali-scendi emozionali che la chitarra di Weed elabora lungo il corso della tracklist. A livello ritmico ci troviamo di fronte sempre agli stessi tempi, montati però sempre con eleganza intorno alle differenti trame chitarristiche e bassistiche e resi quindi piuttosto personali e mai troppo ripetitivi, con un retrogusto tribale che non sfigura assolutamente con il concept “spirituale” che aleggia intorno a The Anaesthete: sin dai titoli in doppia lingua, si può comprendere infatti la profondità che musica e testi tentano di raggiungere con successo, traducendosi quindi in un maggior numero di momenti delicati all’interno dell’album, a scapito ovviamente delle aperture in stile sludge mai troppo spinte sia in termini di riff che soprattutto in termini di suono.
Inquieti ed emotivi, i Rosetta hanno realizzato un lavoro dall’atmosfera coesa e sulfurea, nel quale la melodia non si traduce necessariamente in felicità o spensieratezza quanto piuttosto in momenti di serietà grave e palpabile: alcune lungaggini sarebbero state da accorciare, ma ci troviamo comunque di fronte ad un lavoro magistrale in quanto a phatos ed intensità.
7.0