Freschi dell’uscita dell’ultimo disco Twenty First Century su Scarlet Records, i Death Mechanism scambiano quattro chiacchiere con noi di Grind On The Road, raccontandoci di com’è nata la band, di cosa parlano i testi, di cosa avere in testa se si fonda un gruppo oggi e di come sono nate le collaborazioni con Coroner e Bulldozer.
Parlaci di 21st Century, il vostro ultimo disco, e del significato dell’immagine di copertina.
Ciao! Il nostro nuovo disco Twenty First Century è uscito lo scorso Luglio su Scarlet Records e contiene dieci pezzi, a differenza degli altri lavori questa volta abbiamo cercato delle soluzioni “diverse” pur mantenendo il nostro sound. Si tratta sempre di thrash metal diretto e veloce con influenze alla Sadus, Slayer e Kreator con inserite però parti più lente e articolate, utilizzando anche dei synth. La copertina riprende le tematiche dei testi e rappresenta due umani, un maschio e una femmina generati in vitro, pronti ad essere inseriti nel mondo altamente inquinato e antropizzato che si vede fuori dalla finestra. Fin dal primo demo i testi dei Death Mechanism raccontano di scenari visionari che riguardano il “patto” tra l’umanità e la tecnologia.
Com’è nata la collaborazione con Tommy Vetterli dei Coroner all’interno del disco?
Inizialmente avevamo contattato Tommy Vetterli per chiedergli se era disponibile a partecipare come guest con un assolo, poi ci ha proposto di produrre il disco nel suo studio a Zurigo. In quel momento non avevamo ancora deciso dove registrare l’album cosi dopo alcune valutazioni abbiamo trovato un accordo e siamo partiti per la Svizzera.
Di cosa parlano i testi dei Death Mechanism?
I testi sono dei “racconti” visionari ma sempre basati su situazioni reali che raccontano delle conseguenze, dei vantaggi e degli svantaggi del progresso e della tecnologia nei confronti dell’umanità, in maniera cinica ma pur sempre rimanendo su una base reale.
Quando hai iniziato a suonare, com’è nata la band e perché hai scelto “Death Mechanism” come nome?
Ho iniziato a suonare a metà degli anni 90 e ho avuto i “soliti” progetti tra amici, compaesani ecc senza mai concludere niente. Nel 1997 ho fondato il mio primo gruppo e abbiamo fatto un paio di demo e alcune date fino al 2002. Nel 2003 ho fondato i Death Mechanism, inizialmente come “one man band”, poi con l’aiuto di un paio di amici ho registrato il primo demo e, non appena la line-up è diventata stabile, abbiamo iniziato le esibizioni live. Negli anni ci sono stati alcuni cambi di line-up , quella attuale risale al 2011. Per quanto riguarda il nome: “the blood that flows in the vein /is lubricating the death mechanism”, questa era una frase di un pezzo del mio primo gruppo e dato che le nostre tematiche riguardavano, e riguardano tutt’ora, temi come la biomeccanica, transumanismo, ecc, Death Mechanism mi sembrava il nome adatto.
Quali sono i vostri progetti per il 2014?
Speriamo di confermare più date possibili, i live sono il miglior modo per promuovere un nuovo album.
Cosa consiglieresti ad un ragazzo che vuole iniziare a suonare al giorno d’oggi e formare una propria band?
Per prima cosa di suonare sempre e solo quello che gli “viene da dentro”, che sia thrash, death o power l’importante è che se lo senta “dentro” e non segua le mode del momento, e poi di non smettere mai di crederci ma allo stesso tempo di essere sempre obbiettivo e ben conscio dei limiti. Inutile frustrarsi con chissà quali grandi sogni, meglio guardare sempre dritta in faccia la realtà e saperla accettare a testa alta.
Tu e il tuo batterista Manu fate anche parte dell’attuale formazione dei Bulldozer, com’è nata questa collaborazione?
Sì! Manu fa parte dei Bulldozer fin dalla loro reunion del 2008, mentre io ne faccio parte come “turnista” al basso per le esibizioni live dal 2011, da quando Simone, il nostre ex bassista, ha abbandonato sia i Death Mechanism sia i Bulldozer. Tutto è iniziato dopo che Andy Panigada ci ha visto suonare, eravamo a Milano per una data, quella sera tra il pubblico c’era anche Andy e ovviamente era motivo di orgoglio averlo tra il pubblico. Così a fine concerto gli abbiamo dato una copia del nostro primo album “Human Error Global Terror”. Scoprimmo poi che era da un po’ di tempo che bazzicava in incognito ai concerti underground alla ricerca di un batterista per la reunion dei Bulldozer e così una settimana dopo Manu era a Milano a fare le prove con loro!
Saluta i nostri lettori:
Grazie per l’intervista e per lo spazio che avete dato alla nostra band!
Ciao! Ci si vede ai nostri live, mi raccomando!