(Eclectic Productions, 2013)
1. Intro
2. Shoot Me
3. Strangled by the Octopus
4. The Mafious
5. The Immoral
6. The Puppeteer
Molte band del secolo scorso (fa sempre un certo effetto usare quest’espressione!), soprattutto in ambito estremo, devono molta della loro fortuna ad un uso sistematico o, comunque, piuttosto centellinato e studiato, delle cosiddette intros, quei samples più o meno brevi tratti da film di svariata natura che dovrebbero avere l’onere di catapultare l’ascoltatore nel mood della canzone o dell’album degli artisti in questione: basti pensare ai newyorkesi Mortician, i quali hanno fatto dell’intro un’arte a sé – ai limiti del grottesco –, oppure, stando in Italia, ai primi Cripple Bastards, che hanno contribuito a creare in molti grinders il culto per il cinema di Umberto Lenzi e Lucio Fulci. E’ proprio, infatti, ai Cripple che mi è venuto da pensare, quando mi sono messo ad ascoltare questo EP degli abruzzesi Rabid Dogs, i quali, scrollatisi, ma non troppo, di dosso le polveri del recente passato Bestial Devastation, sempre più si stanno aprendo una loro strada nel panorama grindcore nazionale e non solo – tanto da scomodare quella Eclectic Productions che già aveva prodotto l’eccellente Con Cognizione di Causa dei laziali Tsubo –, non tanto, però, per una questione di sonorità, quanto, per certi versi, attitudinale. Benché l’attitudine degli hate-corers astigiani sia unica, uno dei loro cliché, specie negli anni ’90, era quello d’omaggiare spesso i thrillers dei sopraccitati Lenzi e Fulci, in un immaginario criminale nichilista, proveniente dagli anni ’70 ed ’80 (Milano Odia: la Polizia Non Può Sparare; Lo Squartatore di New York; giusto per citare gli esempi più significativi): da questo lato, infatti, sembrerebbe che, qualche decade dopo, i Rabid Dogs abbiano imparato bene quella lezione. Con un monicker che omaggia il malatissimo Cani Arrabbiati di Mario Bava, nella loro prima uscita s’erano appoggiati alla tradizione del poliziottesco made in Italy dei 70s; ora, come suggerisce il titolo del nuovo EP, il pozzo di San Patrizio da cui prendere intros di varia natura è una delle serie più fortunate di ‘Mamma Rai’ degli anni ’80, La Piovra, nella quale il problema della mafia in Sicilia veniva affrontato con una crudezza espressiva che, oggi come oggi, difficilmente passerebbe, come allora, in prima serata: ricordo serate da bambino a cercare di guardare, in compagnia di mamma e papà, qualche puntata della serie, trascorse più a cagarmi sotto e concludere di non aver capito un’acca della trama – ma soprattutto a cagarmi sotto –, di fronte a questo platter televisivo al quale oggi, forse per certe remore infantili (anche Glauko ha un pascoliano fanciullino in fondo al cuore!), non mi sento troppo affezionato. Comunque. Non siam qui a farci gli affaracci miei, né a pettinare le bambole, ma a parlare di grind zozzo, lercio, groovy, pieno di d-beats tattici e molto crust-oriented. Tutto questo per dirvi che, a mio parere, come potrà essere suonata ridondante questa parte introduttiva alla recensione per molti di voi, così, a me, sono risuonate le intros di The Octopus: per carità, azzeccatissime col mood e le lyrics e tutto quanto, ma, francamente, pallosette. Anche perché il power-trio di Chieti ha tirato fuori un piccolo gioiello di musica sporca e verace, decisamente genuino: i classici hyper-blast-beats di scuola Bestial Devastation ben s’accompagnano a nuove soluzioni sludge o derive figlie degli Entombed di Wolverine Blues (“The Immoral”), per un saggio mix in cui sonorità molto southern s’abbracciano a parti più veloci, screams sgraziati e profondissimi guttural. Un dischetto breve, ma intenso e gradevole, specie su “Strangled by the Octopus”, nella quale ho sentito tanto dei Soilent Green prima maniera (per cui, applausi!), e su “The Puppeteer”, una perla di crust sporco che abbraccia gli ultimi Napalm Death, sfociando in un finalone stoner con tanto di hammond (strumento utilizzato anche su altre tracce di The Octopus). Nel complesso, talvolta, ho avuto la sensazione di sentire molte soluzioni vicine ad un’altra band che ama giocare con death metal e sludge-core, i liguri Carcharodon.
Seconda noterella negativa del mini-cd: i suoni. Buoni, comprensibili, puliti. Forse, talvolta, artificiosi (o artificiali?) – specie nella batteria o nei grooves di chitarra che, a volte, mi son parsi dal sound troppo ‘deathcoreggiante’, per cui un po’ fuori contesto. Ma si tratta di particolari: se vi piacciono gli ingredienti musicali sopraelencati, avrete uno sfizioso aperitivo di un’operetta che, mi auguro, preannunci un’uscita in formato full. Bravi, cari i miei Cagnacci.
7.0