(Solar Flare, No Way, Noiirax and Trendkill, 2013)
01. Elegy in Δ
02. We Are The Romanoes
03. Fear Trade
04. Crown Of Porns
05. 1000 Beers
06. Elegy in Ɣ
07. Slave / Her
08. Chien Noir
09. Elegy in ʡ
10. Ville Morgue
Ah, la Francia! Per chi scrive non esiste altra nazione europea in ambito noise che negli ultimi quindici anni abbia sfornato prodotti così buoni come la terra di de Gaulle: l’impressione che l’erba del vicino sia in un modo o nell’altro sempre più verde non è mai stata così forte. E quanti di noi, con l’aria che tira dalle nostre parti, darebbero un occhio per essere nati dall’altra parte delle Alpi e – lasciamo stare le possibilità occupazionali – poter suonare o ascoltare band in un contesto così fertile e rassicurante? Preferisco non saperlo e parlare piuttosto del nuovo prodotto made in France all’insegna della genuinità anche se, come vedremo, non tutte le ciambelle escono propriamente col buco. Nella tradizione della scuola statunitense e sulla scia di valide band conterranee quali Pord, Sofy Major, Morse, Revok e Ultracoit, ecco arrivare a pochi anni di distanza dal promettente EP Metropolis il primo disco sulla lunga distanza dei Carne, duo lionese dedito a sonorità tra lo sludge e il post-hc.
Dopo un’intro dall’atmosfera sinistra – vagamente tamarra ma d’effetto quasi come potrebbe essere un pezzo di contemporanea suonato dai Neurosis – Ville Morgue comincia carico di buoni propositi con la doppietta “We Are The Romanoes” e “Fear Trade”, due pezzi che delineano subito le coordinate soniche dei lionesi. A parte il riferimento più che diretto ai Botch del primo vero pezzo del disco (un titolo come “We Are The Romanoes” non vi ricorda proprio niente?) i Carne profumano piacevolmente di Breach sotto più punti di vista: le distorsioni della chitarra sono il primo tratto in comune, così come la predilezione per pezzi tirati ma mai troppo veloci e sostenuti da tempi dritti sui quali capeggia una voce che sputa l’anima. Fin qui tutto bene, ma le cose si complicano a partire dal quarto pezzo: anzi, più che complicarsi rimangono del tutto invariate. “Crown Of Porns” e “1000 Beers” menano, su questo non ci piove, lo fanno però gettando al fuoco pezzi di Carne della stessa fattispecie e consistenza dei precedenti, mentre l’intermezzo “Elegy In γ” è, come già recita il titolo, nient’altro che un reprise dell’intro. La prima svolta arriva solo con “Slave/Her”, settima traccia impreziosita dalla partecipazione della cantante degli Overmars: la distorsione della chitarra si asciuga un poco e nella prima metà del brano la voce di Pierre Bozonnet si fa parlata invece che urlata. Al minuto 1’12’’si inserisce un arpeggio dissonante a incupire il tutto e dopo uno stacco tellurico e strumentale finalmente subentra la voce femminile di Marion che trasforma ciò che resta del brano in un incubo claustrofobico alla Made Out Of Babies, un numero davvero riuscito. La strada riprende poi in piano fino all’ultimo brano, nel quale i Carne stupiscono tutti scatenando il piccolo maelstrom che dà il nome all’album intero: al mid-tempo finora onnipresente si sostituisce un blast-beat tra il grindcore e il black che finisce col fondersi in una timpanica ‘flangerata’ e trascina il disco in progressiva dissolvenza.
In generale Ville Morgue è ben fatto, sentite come suonano i passaggi su tom e timpani di “Fear Trade” o la grana delle distorsioni su “Crown Of Porns” (dalle foto dei live scorgo un Model T della Sunn alle spalle del chitarrista e mi faccio un paio di idee), e capirete che è stato speso del tempo per la cura della resa sonora, ma in realtà i pezzi, al di là della considerevole botta inferta al primo giro di boa, già al secondo ascolto non rimangono impressi come ci si aspetterebbe. Non che siano brutti, anzi!, ma purtroppo sono privi di spazi aperti o riflessivi che smorzino/enfatizzino l’impatto delle parti più pestate (e per spiegarmi potrei rimandare a quel capolavoro di Kollapse, visto che prima ho accostato il duo francese ai Breach, un disco nel quale l’equilibrio perfetto tra momenti distesi ed esplosioni crea una tensione da brivido), e le dinamiche sono quasi del tutto assenti o appiattite dal rifferama continuo e ossessivo. Questa sensazione di stasi non è nemmeno alleviata dalla scelta dei bpm che scandiscono le metriche di quasi tutti i pezzi: i Carne impostano il pilota automatico subito dopo aver sparato i motori a mille in fase di decollo, ma volano a pochi metri dalla pista per più di mezz’ora prima di prendere quota con l’ultimo pezzo.
Visto e considerato che il gruppo si pone come duo sludge-noise-core e viene consigliato agli amanti di Unsane e Today Is The Day, non dovrei nemmeno stare a discutere di questioni simili: il senso di agonia sprigionato da queste sonorità è voluto e assolto in pieno, ma mi pare più che doveroso far notare che ‘monoliticità’ e monotonia sono due aspetti che a parer mio non dovrebbero mai confondersi l’uno con l’altro se davvero si vuol parlare di un bel disco. Di una cosa sono sicuro: tenendo fede ai suoni di questo Ville Morgue i Carne vanno assolutamente visti e sentiti dal vivo.
6.5