Al ritmo di un album ogni due anni circa, anche gli As I Lay Dying arrivano al traguardo dei dieci anni d’attività. Con la pesante eredità di band capostipite e (quasi unica) fondatrice del movimento metal-core, i cinque californiani registrano ancora una volta per Metal Blade Records, diretti e supervisionati dal sempre ottimo Adam Dutkiewicz (Killswitch Engage), già presente nel precedente “An Ocean Between Us”. La sostanza del disco non cambia più di tanto le coordinate di una band che, già affermata di per sé, non avrebbe motivi apparenti per modificare il proprio sound. Un sound che, peraltro, è collaudato e quantomai proficuo.
Il metal-core proposto dalla band è il solito incrocio di screaming e ritmiche serrate, dove ogni tanto fanno capolino assoli di brevissima durata (“Beyond Our Suffering”) che danno la possibilità di staccarsi dal solito alone di già sentito. Allo stesso tempo, tuttavia, non mancano i punti forti che hanno causato il successo del gruppo. Per esempio, una certa abilità nel costruire riffs semplici e lineari, facili da ricordare e invitanti dal punto di vista ritmico. O un’inclinazione ai cori melodici che sono ben piazzati nel contesto della canzone e danno al tutto un buon bilanciamento fra potenza e melodia (“Parallels”). L’album ha una durata di circa 45 minuti, disseminati in undici pezzi dalle durate piuttosto variabili. Pezzi veloci e brutali (“Condemned”) si alternano a brani più statici, ma non per questo meno incisivi (“The Blinding of False Light”) che ricordano da un certo punto di vista gli approcci monolitici e rallentati di bands quali gli ultimi Chimaira.
Paradossalmente, il fatto di ripetere il pattern tipico e da sempre caratteristico della band potrebbe essere il limite più grosso del disco. Chi suona sa che l’importanza di sapersi reinventare è sempre alta. Gli As I Lay Dying hanno certamente un mercato florido e vastamente supportato dai massicci tour che hanno intrapreso nel corso degli anni. Tuttavia, chi può assicurare a loro che il mercato di ascoltatori che si sono ritagliati (i quali, oramai, sono quasi adulti) si possa riproporre con le nuove generazioni? In altre parole, per quale motivo l’ascoltatore medio dovrebbe preferire l’originale (pur qualitativamente superiore) alla copia? Tutto ciò, in particolare, quando entrambe le proposte arrivano al destinatario in forma di comodo file scaricato da internet.
Renew yourself or die trying!
Voto: 7