(Napalm Records, 2014)
1. Zarozhdenie
2. Na Strazhe Novyh Let
3. Serbia
4. Zov pustyh dereven
5. Gorod Snov
6. Ved’ma
7. Chado Indigo
8. Yav
9. V Ob’yat’yah Kramoly
Il folk metal è un genere che, se proposto nella maniera adeguata, è capace di regalare grandi emozioni; in caso contrario invece, se non si ha la padronanza dei mezzi, sfornare un disco spazzatura ai limiti del pacchiano è questione di un attimo! In questi ultimi anni, quando il folk metal è esploso anche qui nel Bel Paese, nelle mie orecchie hanno risuonato dischi spettacolari proposti da altrettanto spettacolari band e tanti altri album orribili su cui è meglio stendere un velo pietoso. In questa intricata matassa gli Arkona sono stati come un fulmine a ciel sereno: le atmosfere stregonesche, quasi mistiche da loro proposte trasportavano direttamente nella gelida Siberia e il cantato di Masha Arkhipova era come un incantesimo gridato con solenne devozione tra le foreste di abeti innevati. Riponevo grandi speranza in questo album, come sarebbe lecito aspettarsi da una band di tale calibro, tuttavia le mie aspettative sono crollate fortemente sin dall’ascolto del trailer rilasciato dalla label qualche giorno prima dell’uscita.
Tuttavia, giudicare un disco da un trailer è una cosa praticamente impossibile, oltre che fortemente erronea, quindi entriamo nel vivo del discorso e poniamoci la domanda fondamentale: cosa dobbiamo aspettarci da Yav? Per prima cosa dobbiamo aspettarci una drastica diminuzione delle atmosfere tipicamente est europee che hanno sempre caratterizzato le produzioni di Masha e soci, in favore di una struttura più vicina al progressive metal, con continui cambi di registro, stacchi e ritmiche poco lineari. Questo è l’aspetto più evidente in Yav ed è anche il suo più grande difetto: da un lato si riesce ad apprezzare la voglia degli Arkona di innovazione e di rimettersi in gioco, dall’altro non si può far a meno di notare una composizione estremamente impacciata messa in atto da una band non a proprio agio con certe sonorità, tanto che spesso i brani diventano estremamente cacofonici e privi di qualunque spessore. La struttura frammentaria delle canzoni, inoltre, penalizza fortemente tutte le parti vocali che appaiono forzate, e a volte quasi casuali, incapaci di prendere la giusta direzione. Questa volta gli Arkona si sono lasciati prendere la mano e hanno messo troppa carne al fuoco, senza riuscire a gestire adeguatamente la questione: ogni brano è pregno di sovra-incisioni assolutamente fini e se stesse e deleterie, fuse in un mixaggio che appare il più delle volte inadeguato e non all’altezza. Non manca qualche episodio ben riuscito come “Serbia” o la più complessa “Na Strazhe Novyh Let”, tuttavia è troppo poco per risollevare le sorti di Yav.
Il fatto che una band affermata come gli Arkona abbia ancora la volontà di reinventarsi e mettersi in gioco è assolutamente ammirevole e se non fosse per tale ammirazione il mio giudizio numerico sarebbe decisamente più severo. È tuttavia innegabile che la band si trovi in difficoltà con questo tipo di proposta. Per ora rimandati a Settembre!
5.5