(Profound Lore Records, 2014)
1. The Silver Key
2. Clawing into Black Sun
3. Slaves to the Grime
4. The Desanctification
5. Lethe
6. In Reverence
7. Death Division
8. A Light That Does Not Yield
Terzo disco per i Wolvhammer, che possiamo ormai definire come dei veterani dello sludge, quello dalle forti tinte black metal accompagnato da poche venature bluesy, elementi ultimamente contraddistinguono la maggior parte dei venditori di ‘’fango’’ del Nuovo Continente.
Cupezza. Ogni traccia di questo lavoro è impregnata di una cupa atmosfera che ristagna per tutti i suoi quarantasette minuti di durata, canzone dopo canzone. Un midtempo quasi perpetuo che assilla l’ascoltatore ricordandogli quanto brutta possa essere la vita e quanto ogni giorno può essere uguale al precedente, un po’ come i pezzi di Clawing into Black Sun. Non c’è molto spazio per acceleramenti al limite dell’hardcore o per pesanti decelerazioni che facciano rimbalzare con lentezza il cervello all’interno della scatola cranica: a differenza dei lavori precedenti, questa volta Jeff Wilson & Co hanno cercato di dare alla loro musica una raddrizzata, non sbilanciandosi troppo, cercando di rimanere concentrati più sulle atmosfere che sulle strutture e le dinamiche, facilitandosi la vita negli arrangiamenti e palesando il loro amore per alcuni gruppi della scena new wave e post punk degli anni 80 come Sister Of Mercy o Killing Joke. Il malessere è forte, la tristezza sicuramente presente, ma manca quella rabbia che era molto ben viva nelle produzioni antecedenti, quel furore strillato ai quatto venti tramite le casse dei nostri stereo. L’ascoltatore potrà provare tutte quelle brutte sensazioni tanto care agli Wolvhammer, sarà impantanato nel grigiore a chiedersi che senso abbia tutto questo (e per tutto questo intendo la propria vita), ma nel contempo rischierà di annoiarsi e forse penserà ad altro, magari alla mamma che a casa prepara un buon dolce. Il rischio c’è, e allora addio negatività.
Il problema è proprio questo, Clawing into Black Sun manca totalmente di grinta: non è un disco per tutti, neanche per i più affezionati al trio di Minneapolis, abituati molto bene fino ad ora. Questo non vuol dire che non possa riuscire ad attirare altri tipi di proseliti, dopotutto più melodia e meno trambusto sonoro sono spesso un miglior biglietto da visita e non per forza una caduta di stile, ma di fatto resta più di qualche dubbio sul risultato finale. Che sia per aspettative troppo alte o no, i molteplici ascolti non cambiano la conclusione: la noia si nasconde in ogni traccia di Clawing into Black Sun.
5.5