(Iron Bonehead, 2014)

 1.Heaven’s Blind

2.Fire Wings

3.Mictlan

4.Feathered Snake

5.Drowned

6.Servants of Light

7.Twist in My Sobriety

 Secondo disco per i berlinesi Albez Duz,dal 2006 dediti ad un gothic doom con tematiche incentrate soprattutto sull’occulto e l’esoterismo; lo stesso monicker di questo duo altro non è che una antica lingua germanica perduta.

Dopo una breve intro di due minuti The Coming of Mictlan inizia lentamente e inesorabilmente la sua avanzata: non abbiamo niente di nuovo all’orizzonte se non la fusione di alcuni stili di interpretazione di questo filone musicale. Voci cupe e baritonali, organi e tastiere, chitarre gonfie e batteria lenta e cadenzata. Mictlan è uno dei mondi dell’aldilà nella mitologia Azteca, titolo calzante se si nota come anche questo disco sia una vera e propria tomba dove sono state messe a forza certe sonorità, chiuse con una spessa lastra di marmo lasciate lì a marcire. Tutto il disco ricorda molto i My Dying Bride di metà anni 90, soprattutto nelle melodie, ma con occhi decisamente puntati ai padri fondatori Black Sabbath del primo periodo, con quel tipico sound anni 70, accompagnato da alcuni vocalizzi alla Peter Steele mai abbastanza compianto bassista e specialmente cantante dei Type O Negative.

 Insomma, qui si scade nella pallida emulazione. Non c’è nulla che provenga dal sacco di farina degli Albez Duz, si è andato a pescare un po’ qua e un po’ là cercando di prendere il meglio dai vari riferimenti, ma senza quel minimo di stile proprio, ormai necessario in questa epoca di surplus musicale dovuto alla rete per non farti dimenticare chi stai ascoltando. Il disco scorre abbastanza bene, la produzione è buona ma a parte qualche ritornello azzeccato che rimane in testa per qualche minuto (cosa che non obbligatoriamente è un punto di forza in ambito metal), scorre liscio, pure troppo: sembra di non aver ascoltato niente, al massimo può venire voglia di sentirsi uno dei gruppi sopracitati. La musica procede, finisce ma non ti ricordi nemmeno il nome della band, al massimo puoi pensare a chi ti rimandano, la sensazione è questa ed è brutta.

Ritengo giusto avere delle influenze e portarle all’interno della propria musica, seguire dei canoni già scritti è normale, ma focalizzarsi in questa sola via rende il tutto banale e mediocre, a meno che i tedeschi in questione non siano alla caccia di fama e notorietà, ma forse hanno sbagliato genere sin dall’inizio. “Twist in My Sobriety” è una cover di fine anni 80, il pezzo originale è di Tanita Tikaram, questa è la traccia più riuscita del disco il che la dice lunga su quello che ho già scritto: bravi si, ma a copiare.

4.5

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