Che la data di questa sera non fosse stata organizzata nel migliore dei modi, pareva piuttosto scontato già dai giorni precedenti. Su tutto, infatti, spiccavano due fatti: 1) L’agenzia che si era presa cura di organizzare la data (tale Hard Staff, da non confondere con la più nota Hard Cash Management) non aveva provveduto a dare alcuna notizia aggiuntiva sul proprio sito riguardo alla data (costi? Orari?), oltre alla news del concerto stesso riportata a metà Febbraio scorso. Fra l’altro, definendola in maniera erronea come “unica data italiana”. 2) Il locale in cui l’evento si svolgeva, ossia il Rock Planet di Pinarella di Cervia, aveva ospitato negli ultimi tre giorni due nomi di punta dell’hardcore come Gallows e Alexisonfire. Questo aveva senza dubbio influito, seppur indirettamente, sulla quantità di presenti durante la serata, portando molti a scegliere uno fra i due concerti precedenti, vuoi per mancanza di fondi, vuoi per interesse, vuoi per moda. Le stesse impressioni mi verranno confermate in seguito anche dal chitarrista Josh James, con il quale avrò l’occasione di scambiare quattro chiacchiere.
Fatto sta che, al momento del mio arrivo al locale, poco prima delle 23:00, davanti alle porte sono radunate circa una trentina di persone, che andranno mano in mano salendo durante la serata per arrivare ad un numero approssimativo di circa duecento. Numero che lascerà desolatamente vuota almeno per metà la pista del club, con evidente frustrazione del gruppo stesso. L’apertura delle porte è puntale, e l’unica nota negativa è data dal prezzo (15 euro) che, seppur non eccessivo, è ingiustificato. Due giorni prima, infatti, le stesse due band della serata erano salite sul palco del Rock Village di Livorno, accompagnate da altri due gruppi della zona, riuscendo a mantenere il prezzo a 12 euro.
Appena entrato, noto che il fonico è un ospite d’eccezione: niente di meno che Gabriele Ravaglia, proprietario del Fear Studio, uno dei più avanzati della zona. Quello che parte poco dopo, tuttavia, non lascia presagire nulla di buono. Salgono sul palco i Me and Mark, side project del chitarrista di Evergreen Terrace e Casey Jones, Josh James, e del cantautore Mark O’Quinn. Il loro genere è totalmente fuori da ogni schema che la serata vorrebbe imporre. Il duo presenta infatti il proprio EP, fatto di quattro canzoni basate su voce e chitarra acustica, che ricordano tanto l’emocore della vecchia scuola da un lato, e i brani acustici a la Against Me! dall’altro. I suoni, come detto, risentono particolarmente di un impianto audio che darà seri problemi alle bands durante l’intera serata, causando nervosismo e stizza nei vari componenti, già dispiaciuti per i pochi accorsi, nonché infastiditi dalla partecipazione pressoché nulla degli stessi. Il loro set si conclude dopo poco più di quindici, venti minuti, lasciando i presenti nel solito torpore misto al disinteresse verso chiunque non sia la band che si è venuta a sentire, ossia gli headliner. Il cambio di palco è piuttosto rapido, e avviene, inspiegabilmente, senza che alcuna musica venga messa in sottofondo. Tant’è che, negli attimi immediatamente precedenti al concerto, i vari componenti del gruppo scherzano con il pubblico (“Awkward!”) per segnalare quella che pare una mancanza di professionalità basilare. Il pubblico, dalla sua, non risponde, poiché gran parte di esso non comprende minimamente che cosa i ragazzi della band stiano tentando di comunicargli.
Gli Evergreen Terrace salgono sul palco poco prima della mezzanotte, e cominciano subito a soffrire di evidenti problemi di spie, nonché di una chitarra che dà noie a livello di cavi. Josh James tenta più volte di sistemare la situazione come può, ma dopo poco si concentra semplicemente sul suonare e concludere l’esibizione nel più breve tempo possibile. Nella mezz’ora o poco più di concerto la band esegue i suoi successi principali, estratti dagli ultimi tre album. Il pubblico risponde bene, ma è paurosamente statico. Il cantante cerca di interagire, ma con scarsi risultati. Dopo una decina di brani, gli Evergreen Terrace decidono che è ora di chiudere, e affidano la fina del concerto al singolo più recente, “Sending Signals”, energicamente cantano da alcune frange di pubblico. Un po’ pochino per una band che ha più di dieci anni di carriera, ma assolutamente comprensibile viste le condizioni della serata.
Nel dopo-show, Josh James mi si avvicina, e viene a ringraziarmi per la partecipazione (!!!). Io colgo la palla al balzo, e gli propongo un po’ di domande, alla quale lui risponde con piacere, brindando insieme con un po’ d’acqua.
D: Allora, come sta andando il tour fino ad ora?
R: Molto bene! Siamo soddisfatti, siamo alla fine della terza settimana e ce ne manca un’altra prima di tornare a casa. I concerti di solito sono pieni di ragazzi, e questo ci fa piacere.
D: Già, peccato per i problemi tecnici, che stasera hanno rovinato un po’ l’intera serata!
R: Sì, questa sera è stato orribile! La mia chitarra dava continuamente noie, e non so cosa sia successo alle spie e ai microfoni. Il concerto è stato penalizzato da questo.
D: Beh, anche il pubblico era poco presente, no? Voglio dire, vedete differenze fra questo pubblico e quello negli States?
R: Sì, assolutamente! Stasera è stata una data stranissima! Vedi, noi veniamo in Europa circa una volta all’anno dal 2005 a questa parte, e ogni volta troviamo sempre più gente ai nostri concerti. Non importa più di tanto essere di moda, qui in Europa. Specialmente negli show che facciamo in Germania, ci divertiamo sempre un sacco. Negli States, invece, quando passa una moda, la gente non si fa più vedere ai concerti. E, da questo punto di vista, la stessa cosa si verifica anche in Inghilterra.
D: In America tentate di suonare per lo più in show all ages, giusto?
R: Sì, assolutamente! Il 99% dei concerti che teniamo in America sono all ages, il che va bene per noi perché ci consente di avere più pubblico, e allo stesso tempo preferiamo non avere nessuno escluso a questi eventi.
D: E in Italia com’è il riscontro del pubblico? In Italia abbiamo sempre avuto un buon successo. Ricordo la data che abbiamo tenuto sempre qui, l’anno scorso, in compagnia del mio gruppo parallelo, i Casey Jones, e ricordo che c’era molta più gente. E, soprattutto, che tutto il pubblico era molto più scatenato ed attivo rispetto a stasera. Non c’è paragone! Ho notato che nei giorni scorsi ci sono stati gruppi importanti, sempre qui (Gallows e Alexisnofire, appunto. ndR), e capisco che i ragazzi non abbiano troppi soldi da spendere al giorno d’oggi. Speriamo sia stata un’eccezione!
D: Da dove viene l’idea di portare in tour i Me and Mark, un gruppo così diverso dal genere che di bands che viene proposto durante i soliti show hardcore?
R: Conosco Mark da circa quindici anni, e suono con lui a livello amatoriale da sempre. Ci eravamo accordati sul fatto che avrebbe preso cura del merch per gli Evergreen Terrace in ogni caso, e allora abbiamo pensato di cogliere la palla al balzo e suonare di spalla, così da vedere quale fosse il riscontro del pubblico. Per adesso, ci è andata bene.
D: Il suono dei Me and Mark è piuttosto radio-friendly, quindi chissà che non riusciate a sfondare, no?
R: Sì, come dice la nostra canzone “Hey Is for Horses, and You’re a Horse”: “everyone has got a band now, anyone can write a breakdown, everything it all just sounds the same”. Questo a voler significare che, anche in generi relativamente piccoli come l’hardcore si stanno inserendo discorsi legati alle mode. Con i Me and Mark, invece, cerchiamo di proporre un genere diverso, per dare l’idea che i ragazzi dovrebbero essere in grado di ascoltare ed apprezzare di tutto, come abbiamo sempre fatto noi, che ormai siamo cresciuti.
D: Beh, grazie per l’intervista e per le belle parole!
R: Grazie a te e spero di rivederti la prossima volta…sperando che il concerto sia migliore!