(Solar Flare Records, 2014)
01. Staring Into Space
02. I’m Swimming Home
03. My Bloody Galantine
04. The Laguiole Bull’s Balls
05. What Are Tuesdays For?
06. Pools ‘N’ Chicks
07. On The Couch
Potete accusarmi di essere un nostalgico. Potete dirmi che sono un irriducibile amante di sonorità ruvide e grossolane. Potete darmi del conservatore. Potete pensare cosa cazzo vi pare, non posso farci niente: mi basta una manciata di minuti di musica potente ed onesta per darvi ragione su tutti i fronti, ma di questo non mi vergogno affatto. È successo di nuovo, e questa volta i responsabili sono stati i quaranta minuti scarsi di Wild, il vinile verde che rotea in questo preciso istante sul mio giradischi, ultima opera di un trio che arriva dal Clermont Ferrand francese e si chiama Pord. Mi son sempre chiesto che diavolo volesse dire quel nome. Girando in bici sull’isola di Porquerolles con indosso la loro t-shirt e quelle quattro lettere stampate sopra a caratteri cubitali, avevo l’impressione che la gente del posto mi squadrasse con sguardo torvo. Se prima o poi dovrò togliermi qualche dubbio da paranoico farò un paio di domande ai diretti interessati, di sicuro il titolo dato al vinile verde non nasconde significati oscuri: Wild parla da sé e non può essere più azzeccato di così per descrivere il suo contenuto. E il verde non è certo il ‘verde speranza’ che potrebbe tornare in mente ai più. Piuttosto è verde melma o verde marciume, le allegre sfumature di una palude.
Per chi non fosse avvezzo alla musica dei Pord vi basti sapere che si tratta di sano e robusto noise rock iniettato di post hc. Ma di quello di cui si sente davvero la mancanza. E fate attenzione a non fraintendere, qui non si tratta di revival, perché sebbene la stagione d’oro del noise americano sia passata da un pezzo, di certo non s’è mai esaurita del tutto, e più che un esercizio di manierismo, la musica dei Pord è un logico e naturale proseguimento di quel filone. E poi lo sapete già: in quanto a sonorità sporche e pesanti, da dieci anni buoni la Francia ha sempre di più le sembianze della terra promessa. Niente smancerie, quindi: questa musica è ruvida e diretta. Voi direte: tutta muscoli e niente cervello? Neanche per sogno. Il cervello c’è e lo si sente all’opera nel produrre canzoni per niente scontate, ma non sarebbe lo stesso non fosse in compagnia dell’indispensabile accoppiata ‘cuore e sudore’.
“Staring Into Space” ingrana con un giro di basso sornione, che come un motore diesel impiega un po’ a scaldarsi ma una volta partito non perde un colpo e si porta dietro un rimorchio di tronchi. La chitarra è tagliente e scintilla al buio come una lama, mentre la batteria mena colpi con eleganza in un ambiente ampio che la fa risuonare come se si trovasse davanti a chi ascolta. La successiva “I’m Swimming Home” attacca con un riff dal tiro e dal gusto hard rock che esplode presto in scazzi e controtempi dazzlingkillmeniani (d’altronde il quartetto del Missouri è sempre stato citato dai Nostri come fonte di ispirazione più o meno esplicitamente: andatevi a sentire la loro interpretazione scolastica ma pur sempre convincente di “Staring Contest” sull’ottimo ep It’s Always Sunny Here), per attorcigliarsi su se stessa in un pattern a modo suo storto ma melodico, e concludere infine con un midtempo da headbanging. Le atmosfere sinistre e dissonanti care ai quattro del midwest ritornano con “My Bloody Galantine”, un brano che riprende alcune intuizioni lente e fangose già accennate su Valparaiso ma le spalma su sette minuti torturati e screziati da un riff finale ripetitivo/ossessivo/oppressivo e codazza spaccaossa. Qui il fantasma dei Dazzling Killmen periodo Face Of Collapse è quasi palpabile, ed è una goduria, credetemi. Non si può invece dire molto dei due minuti scarsi di “The Laguiole Bull’s Balls”, sorta di diversivo strumentale per far sparare a manetta “What Are Tuesdays For?” e “Pools ‘n’ Chicks”, due brani che menano come se non ci fosse un domani. Il primo – forse il più furioso dell’intero lotto – dopo un’intro infingarda infila una serie di riff micidiali in controtempo e si evolve in un’ottima sezione timpanica e vibrante in cui basso e batteria fanno da contrappunto a sporadiche note di chitarra, mentre il secondo, altrettanto violento, stupisce nuovamente per l’elasticità della sezione ritmica nella parte centrale, un vero e proprio guanto che calza alla perfezione sulle note bollenti della chitarra. Resta “On The Couch”, finale di disco lungo e articolato ma dotato di una chiusura in crescendo semplicemente epica.
La differenza rispetto al passato non sta solo nei suoni ma anche nell’impatto dei pezzi. Se Valparaiso si dimostrava violento e dinamico ma era contraddistinto da suoni più gommosi, Wild, pur essendo un tantino più lineare, é impreziosito da suoni maggiormente intelligibili: prima di tutti il basso, che qui acquista profondità e corpo mentre in precedenza riempiva sì di polpa gli scheletri dei pezzi, ma usciva scuro e senza mordente, e poi la profondità degli ambienti, che lasciano maggiore respiro agli strumenti e aggiungono chili di sfumature grevi soprattutto nelle parti cadenzate. I pezzi, rispetto ai loro predecessori, si prendono il tempo che ci vuole per maturare ed esplodere. Ad un ascolto attento, o meglio ancora ad un confronto attento con le uscite precedenti, ci si accorge che su Wild i Pord hanno mollato un po’ l’acceleratore in favore di una guida più distesa e calcolata. Questo non per dire che il disco abbia meno mordente, ma che si evolve meglio, alterna parti lente a parti veloci con soluzione di continuità quasi impercettibile. Se però esiste un vero protagonista in queste sette tracce, ebbene sono le pause. I Pord sanno gestirle in maniera magistrale, fornendo anticipazioni di riff e pattern e lasciandoli in sospeso per poi riprenderli o modificarli, titillando e snervando in questo modo le orecchie e la pazienza dell’ascoltatore e mantenendo in generale la tensione alta. Ogni volta che sembra di aver capito l’andamento di un riff ecco che i tre ci spiazzano con un affondo inedito e nella stragrande maggioranza dei casi bastardo e sincopato. Scontato dire che quando le pause si assottigliano i pezzi sbocciano davvero e fanno male.
In Wild trionfa l’onestà intellettuale di chi, conscio di non inventare nulla di nuovo, fa davvero sul serio senza prendersi sul serio.
8.0