1. Intro
2. Dirges for Unequivocal Torture
3. Litany of Martyrs (feat. Konni – Defeated Sanity)
4. Trascendental State of Absolute Suffering
5. Abysses of Seclusion
6. Interlude
7. Disfigure
8. Flowing Defilement (feat. Bazza – Indecent Excision, Neurogenic)
9. Mindless Damnation
10. Darkall Slaves
Dopo la rinascita di sei-sette anni fa – occhio che ora la sparo veramente grossa! –, il brutal death sta godendo d’un pessimo stato di salute: sembra quasi che, raggiunto uno standard – che sia a livello tecnico, che sia a livello di sonorità e produzione –, da lì non ci si voglia schiodare. Da quando, nel 2003, i Decrepit Birth, con … and Time Begins avevano indicato la Via, sono sicuramente usciti alcuni buoni dischi, chi lo nega?, ma, da almeno un lustro, tutto pare essersi arenato in una scena che ama compiacersi e che raramente prova ad osare. Certo, non tutti sono dei geni come i Cattle Decapitation – peraltro talora snobbati dai brutal deathsters tout court –, i quali c’han messo qualche lustro per diventare quei mostri che tutti conosciamo dal 2012, ergo non si pretende innovazione, fantasia e freschezza a tutti i costi. Ma attitudine e personalità, sì. E’ la base per fare bene qualsiasi genere musicale, quando ci si lancia a mettere su una band e, avendo l’occasione di mettere fuori un full length, le cose iniziano a farsi serie. Fra cloni di Devourment, scopiazzatori senz’anima dei Disgorge (US) e gente che dice di fare brutal prendendo le mosse dai Behemoth, sembra che non esistano più le ricche sfumature che hanno fatto la fortuna del genere nel periodo in cui questo era ancora squisitamente underground. Certo, qualche rara eccezione può esserci, ma, dopo anni di dedizione allo stile musicale in questione, spesso mi riscopro ad ascoltare i soliti tre-quattro dischi.
In tutto questo marasma, grazie all’attivissima nostrana Permeated Records, i francesi Darkall Slaves provano a dire la loro con il loro primo album, Trascendental State of Absolute Suffering. M’ero già occupato di loro qualche tempo fa, recensendo positivamente un EP, Abysses of Seclusion, che lasciava ben sperare per il futuro – l’oramai inequivocabile presente. C’è da dire che i signori in questione, come s’è detto, provengono dalla Francia, una zona dell’Europa che, per quanto confinante con due Nazioni che hanno avuto modo d’insegnare a molti in termini di brutal death metal (Germania ed Italia: è il caso di ripetere le ‘solite’ band, a scopo esemplificativo?), purtroppo non ha una tradizione degna di nota in quest’ambito della musica estrema, per cui, fin da subito, pollice su per il coraggio e la costanza che hanno portato la band al traguardo del primo disco. Già: come m’aveva infatti detto tempo addietro in una chiacchierata virtuale Got, il buonissimo chitarrista della band, in quasi dieci anni d’attività, tenere coesa la line up, trovare concerti, scrivere canzoni con costanza è sempre stato un tremendo calvario, proprio per la difficoltà di trovare e appassionati, e persone in grado di suonare a un certo livello del genere. Trascendental State of Absolute Suffering, lo penso vivamente, vuole rappresentare tutto questo: la frustrazione e la rabbia di anni condensati in un unico disco decisamente significativo che, sonoramente e musicalmente, rappresenta l’ortodossia del brutal death metal. Insomma, niente di nuovo sotto il sole: dalla copertina dell’artista giapponese più amato dai brutallari di tutto il mondo, Toshiro Egawa, al tipo di proposta che, per quanto non sia nulla d’esorbitante ed eccelso, cerca di avere un’anima.
Partiamo dai difetti: la produzione. Benché il basso sia spesso presente, valorizzato e squillante e il lavoro dell’addetto Alex, pur non brillando di sboronaggine ‘casperseniana’, sia decisamente buono, il resto dei suoi colleghi è decisamente appiattito e poco rappresentato, da suoni che, secondo me, tolgono un buon 40% della violenza che le songs dovrebbero trasmettere. No, non si tratta di suoni finti deathcoreggianti. Nemmeno di nostalgie anni ’90 di produzioni ai limite dell’incomprensibile (ché poi io Cranial Impalement e Motivated by Hunger li capivo tutti!). Semplicemente… di suoni mal fatti, o forse inadeguati, non in grado di dare valore al mood del disco: chitarre che suonano ‘piccole’ e leggermente gracchianti, la batteria che dà l’impressione di tendere a sparire, divorata da certe frequenze, e la voce – secondo me uno degli elementi d’originalità della band: il cantante Mark ama muoversi fra gutturals e parti più scandite con discreti gusto e fantasia e sul disco fa un lavoro davvero egregio, per quanto mutilato dalla produzione – appiattita da un master impietoso. Peccato.
Le canzoni, però, ringraziando il Cielo, ci sono, nella loro brutale (come potrebbero essere altrimenti?) onestà. Ripeto: nulla di nuovo sotto il sole, ma, finalmente, barlumi d’anima in una scena semorente. I due pezzi che già spaccavano nell’EP (“Abysses of Seclusion” e “Mindless Damnation”) continuano a fare il loro dovere sul formato lungo, rimpinguate dal buon calcio d’inizio “Dirge for Unequivocal Torture”, dalla bella “Disfigure” (pezzo che deve essere una bomba dal vivo, specie con la sua intro di voce, i suoi grooves ‘fetusiani’ e le melodie azzeccate) e dall’interessante “Darkall Slaves”, capace d’unire umori old school ad un riffing rubato ai Vile, condito da rallentamenti tattici ma non zarri. I Darkall Slaves si muovono, grosso modo, sui lidi della Unique Leader dei primi anni ’00, con influenze Disgorge (US), Deeds of Flesh e Mortal Decay in primo piano, ma anche capaci di ricordarsi quanto di buono è stato partorito dalla scena prima e dopo – qua e là emergono melodie azzeccate à la Nile e Origin (“Trascendental State of Absolute Suffering”), svisate che ricordano Putridity e Malignancy (“Litany of Martyrs”, nella quale appare anche Konni dei Defeated Sanity, anche lui, ahimè, poco valorizzato, vittima d’un mastering appiattente sulla voce), atmosfere che fanno pensare ai Septycal Gorge di Erase the Insignificant e ai Terrordrome di Vehement Convulsion. In particolare, quando esce l’influenza della band greca, il combo francese tira fuori le cose migliori: nello specifico, penso alla già citata “Disfigure” e a “Flowing Defilement”, le mie canzoni preferite del lotto; in quest’ultima, va ricordato, appare pure il ‘nostro’ Matteo ‘Bazza’ Bazzanella, una delle voci più estreme dell’universo brutal death – purtroppo anch’egli funestato, quanto Alex e Konni, dalla produzione del disco.
In generale, malgrado i difetti di cui sopra, ogni canzone pare avere buoni equilibri e ottimi potenziali live; l’unica pecca, forse, talora, sta nella prolissità di certi pezzi: i Darkall Slaves, infatti, colpiscono nell’immediato; quando invece i pezzi si spostano abbondantemente oltre i tre minuti e vanno pericolosamente verso i quattro tendono un po’ a far perdere le fila di loro stessi.
Promossi, dunque, alla loro prima fatica, i nostri nuovi francesi preferiti, con un voto che sarebbe potuto essere stato più alto anche d’un punto con una produzione migliore. Li si aspetta all’esame live a braccia aperte. Vive la France, keep it brutal!
6.5