(Solar Flare Records, 2014)
1. Eastward Cast The Entrails
2. Anxious Bedwetter
3. Obliviocrity
4. Constant and Consuming Fear of Death and Dying
5. Mask Of Lies
6. Blackbird
7. Hürtin’ Crüe [Descendents Cover]
8. Thirsty and Miserable [Blag Flag Cover]
9. Bulletproof Cupid [Girls Against Boys Cover]
Cominciamo dalla fine: gli American Heritage si sciolgono. Il cantante/chitarrista Adam Norden, membro fondatore della band, ha deciso dopo diciotto anni di smettere di suonare. Perciò questo Prolapse è verosimilmente il canto del cigno di una band che, se si fosse presa un po’ più sul serio e avesse badato di più a pubblicizzare la propria magnifica musica, sarebbe considerata una divinità in mezzo al mare di emuli dei Mastodon che affollano il panorama musicale odierno. “Too dumb, we quit”, recita la pagina bandcamp degli American Heritage: la loro però non è l’ostentata scemenza (qualcuno ha detto Red Fang?) che fa ridere gli ascoltatori affetti da deficit d’attenzione, ma un manifesto di ostinata contrarietà a ogni regola del “music business”, se così si può chiamare.
Per la spontanea simpatia che proviamo per loro, spiace constatare come Prolapse non sia la degna conclusione del percorso musicale fatto dagli American Heritage. Da una band come loro, capace di pubblicare dischi di una qualità inversamente proporzionale all’attenzione mediatica suscitata (più o meno pari a zero), ci saremo aspettati un ultimo grandissimo capolavoro bellamente ignorato dal mondo intero. Dopo due dischi-bomba come Millenarian e Sedentary ci voleva un’uscita di scena trionfale accompagnata da un silenzioso botto. E invece Prolapse ha lo spiacevole gusto della raccolta di outtakes, accresciuto dalla presenza di ben tre cover, tre pezzi che sicuramente avranno un valore particolare per i musicisti e che si rivelano episodi decisamente gradevoli, ma che portano il quantitativo di musica inedita ad una ventina di minuti. Poi, sia chiaro: i cosiddetti “outtakes” degli American Heritage spazzano via la maggior parte dei dischi sludge–core che potreste aver sentito in questo 2014 ormai concluso. Gli ingredienti tipici della band statunitense ci sono tutti, dai riffoni gustosamente thrash alle derive noise (“Blackbird” è il perfetto esempio dell’American Heritage-sound), è lo “spirito” che non convince, in Prolapse manca quell’urgenza e irruenza espressiva che contraddistingueva le uscite precedenti; anche le urla sembrano meno belluine del solito.
Probabilmente è tutto giusto, tutto normale così. Probabilmente siamo solo influenzati nel giudizio dalla non accettazione della fine: avremo voluto di più perché eravamo stati abituati ad avere di più, e siamo insoddisfatti perché non potremo averne ancora. Ma evidentemente Prolapse è il figlio naturale di ciò che sono gli American Heritage oggi, una band che con la consueta noncuranza verso il mondo (reale e musicale) che li circonda è entrata in studio, ha registrato quello che gli è successo negli ultimi anni e ha chiuso la propria quasi ventennale storia così, senza troppi proclami, con quell’indifferenza che il mondo gli ha sempre contraccambiato. O magari è solo un sintomo della vecchiaia che avanza.
7.0