(Argonauta Records, 2014)
1. Clarity, Oh Open Wound!
2. An Uncontrollable Moment Of High Tide
3. Cordyceps
4. Mariguanda
5. Lhasa & The Naked West
6. Nirguna
7. The Ashima Complex
Attivi dagli inizi degli anni ’90 e passati attraverso svariate reincarnazioni, i Thee Maldoror Kollective incarnano nella loro sfrenata fantasia (o follia che dir si voglia) compositiva l’essenza del musicista tout court che incapace di fossilizzarsi decide di cambiare pelle, sperimentare e reinventarsi di continuo senza porsi limite alcuno. I torinesi giungono alla loro ultima fatica dopo cinque anni dall’ultimo Need The Needle e fin dalle prime note d’apertura di questo loro ultimo lavoro lasciano intendere molto di quello che ci aspetta. La sperimentazione questa volta si conglomera alla perfezione con uno stile apparentemente lineare, che fa delle divagazioni e degli imbastardimenti più annichilenti le sue linee guida col procedere del minutaggio.
Pochi altri possono vantare l’eclettismo proprio dei torinesi, ed appunto per la loro natura cervellotica (mai nascosta o pudicamente celata) un titolo come Knownothingism, emissario di quasi spudorata ignoranza, pare fuorviante. Riletta però nella chiave della continua ricerca sonora dei nostri, e pertanto come realizzazione mentale del bisogno, della necessità e della volontà di cercare una propria realtà, atta a fungere da temporanea epidermide con la quale presentarsi al mondo, tutto acquista maggior senso. La musica partorita da queste menti folli e geniali è un arzigogolato intreccio di prog, jazz, art rock dove vengono innestati elementi drone ed etno derivanti dal progetto collaterale Shabda e cenni industrial che immediatamente richiamano alla potenza degli esordi. In questo disco la parte del leone viene interpretata dalla bravissima Pina Kollars (Peter Gabriel’s Real World), qui interprete d’eccezione meritevole di ogni elogio, capace com’è di trascinare l’ascolto in una recitazione quasi continua, sempre originale e di carattere. I richiami sarebbero infiniti e ci limitiamo a citare i più ovvi, a partire dalla caratteristica che più li accomuna agli Ulver ed ai Manes, come loro nati nel medesimo genere musicale e dimostratisi poi ansiosi di evadere dagli schemi, passando poi per l’eclettismo del trip hop di classe, siano Portishead o Massive Attack.
Il viaggio che ci viene proposto fa sosta continua in un ipotetico Moulin Rouge avvolto da fiamme perenni, alimentate dai fumi dell’assenzio più nero, senza che mai si fermino le danze sfrenate condotte da musicisti che recitano senza problemi l’inquietante ruolo di dannati, geniali e superbi. Il passaggio da citazione a modernismo sonoro è continuo, la fluidità della composizione (lo ribadiamo) è spaventosa, e se anche dopo sole tre tracce si è indotti a pensare che nulla di nuovo si possa ascoltare ecco che giunge la successiva a sradicare i nostri dubbi, ed ogni singolo pezzo odora di freschezza e genuinità, senza palesare il probabile lavoro certosino condotto dai nostri in fase di scrittura. Non vi sono canzoni in particolare che spicchino tra le sette proposte, ognuna di esse è un piacevole susseguirsi di crescendo e rallentamenti, atmosfere inquietanti e suoni innovativi come non se ne sentivano da tempo. Se proprio volete la vita facile, prestate orecchio almeno a “Mariguanda”, “Lhasa & The Naked West” e alla vellutata sregolatezza di “Nirguna”.
Ci inchiniamo di fronte ai Thee Maldoror Kollective e ringraziamo di cuore l’italiana Argonauta Records che si prende carico di distribuire una simile opera, dimostrazione eclatante che l’underground italiano non solo è valido, ma è capace di spaventare e sovrastare anche quanto arriva dall’estero. Fate vostro Knownothingism, non ponetevi alcuna domanda, bensì rispondete affermativamente ad un imperativo che non ammette repliche. Stupendo!
8.5