(Bindrune Recordings, 2014)
1. The Echoes Of A Disharmonic Evensong
2. Where Mountains Pierce the Sky
3. The Long Road Part I: One Last Fire
4. The Long Road Part II: Capricious Miles
5. The Long Road Part III: The Sigh Of Summer
6. Norwegian Nights
7. In Silence
8. Chase The Grain
Nel 2012 destò una certa attenzione la pubblicazione del terzo full-length della one man band Panopticon, personale creazione dell’americano Austin Lunn; ascrivibile al filone folk / black metal, ciò che ai tempi attirò l’attenzione del pubblico su Kentucky fu la peculiare proposta del progetto, un’azzardata miscela di solidi fondamenti black metal ed elementi presi a piene mani dal più orgoglioso bluegrass caro alle popolazioni dell’entroterra statunitense. Questa unione di stili in apparenza diametralmente opposti si dimostrò inaspettatamente efficace; allo stesso tempo, però, il lavoro mostrava il fianco ad un songwriting che malcelava la scarsa coesione tra le sopracitate componenti fondamentali. Con questo nuovo platter, dopo aver spostato le coordinate dalle valli del Bluegrass State alle foreste scandinave, Lunn non disattende le aspettative di chi sperava in un passo in avanti rispetto al predecessore. Fin dalla prima traccia è infatti evidente una decisiva evoluzione a livello della composizione dei singoli brani.
La formula è rimasta invariata: alle chitarre in tremolo picking ed ai furiosi blast-beats, così come ad un caratteristico e potente scream, si affianca una strumentazione folk fatta di flauti, dobro, banjo e non solo. A proposito dell’evoluzione poc’anzi accennata è necessario specificare come questi elementi trovino, finalmente, un modo per coesistere ed arricchire con la propria compresenza le otto tracce di cui è composto il disco; l’elevato minutaggio medio permette e giustifica il continuo mutare degli equilibri raggiunti all’interno di ciascun pezzo. Non è raro infatti assistere allo scemare di un caotico crescendo sonoro/emozionale accostabile al black metal meno tradizionalista, diluito in una sinfonia folk che pare ridotta all’essenziale, con il conseguente sacrificio dello scandire ritmico della batteria e della comunque mai invadente voce di Lunn. Emblematico in questo senso è il trittico mediano di “The Long Road: I-II-III”, vero cuore dell’album (a qualcuno potrebbe venire in mente l’ugualmente sezionata in tre “She Painted Fire Across The Skyline”, dal ben più conosciuto Pale Folklore degli Agalloch). Il lavoro strumentale appare particolarmente ispirato: le chitarre si caratterizzano di un singolare gusto melodico riconducibile al melodic death metal di più vecchia generazione, capace di caricare di pathos i momenti in cui la ricerca emozionale è ai picchi massimi (ciò si nota particolarmente in “The Sigh of Summer”). Interessante inoltre come il basso passi spesso ad assumere il ruolo di forza trainante dell’intero pezzo, sostenuto da un drumming vario e cangiante. Una nota di merito va anche all’ottimo lavoro svolto in fase di produzione dall’ormai onnipresente Colin Marston.
Tirando le somme, Roads To The North si presenta come un cammino emozionante ed introspettivo attraverso fitte foreste di conifere; qui come nella maggior parte dei casi ciò che veramente conta è il tragitto percorso e non l’arrivo in sé, ed il quarto viaggio evocato da Panopticon è ben capace di lasciare a bocca aperta per la sua intera durata.
8.0