(Peaceville Records, 2015)
1. The Love Divine
2. Aphelion Void
3. God Protocol Axiom
4. The Unlocking
5. Architect of Darkness
6. Blue Moon Duel
Per avviare alcuni progetti ci vuole coraggio. Per portarli avanti seguendo solamente i propri istinti ne serve ancora di più, e si può dire con tranquillità che a Vicotnik il coraggio non manca. Riattivare i Dødheimsgard dopo otto anni di silenzio radio, effettuando un ulteriore cambio completo di formazione, è stata una mossa azzardata quasi quanto inaspettata, capace di seminare negli animi di pressoché ogni fan di vecchia data una ben giustificabile trepidazione.
Ora, dopo un’attesa decisamente lunga, disponiamo finalmente della possibilità (o forse dell’obbligo?) di sviscerare per bene il successore del seminale 666 International e del velenoso Supervillain Outcast. Con il primo i nostri si erano inseriti in quella ristretta cerchia di pionieri scandinavi (Ulver, Manes, Arcturus tra i più inflazionati) il cui fine ultimo era trascendere/contaminare il concetto primitivo di black metal nato proprio in quell’area, per poi continuare sulla medesima falsariga con il successore datato 2007. Prima di passare all’effettiva disanima dell’album è indispensabile mettere per iscritto un assunto in particolare: i Dødheimsgard l’hanno fatto di nuovo. Non solo si sono lasciati alle spalle una formula riproposta in mille salse da numerosi complessi derivativi, ma con una mossa decisamente lungimirante sono stati capaci di portarsi, per la seconda volta, più avanti del tempo stesso.
A Umbra Omega giunge come una sferzata d’aria gelida: nessuna esaltante campagna pubblicitaria, nessun “plus” se non il caratteristico sapore d’asettico ermetismo che ha caratterizzato tutte le prove dei Dødheimsgard/DHG che dir si voglia, dal 1999 fino ad ora. I binari su cui i nostri viaggiano però non sono più gli stessi: ereditata dal passato la furia psicotica tipica dei (rari) momenti in cui ancora è possibile scorgere tracce di quell’originale vena black metal, Vicotnik e soci si sono dedicati ad un’astrazione ulteriore. Diluiti gli elementi originali fino a farne quasi dissolvere una parte (si parla del caratteristico sound industriale in questo caso venuto decisamente meno) hanno evidentemente fatto del processo di composizione dell’album una fucina ribollente, elaborando in modo unitario intenzioni premeditate e suggestioni improvvise; il risultato è un disco densissimo, talmente zeppo di idee contrastanti che è persino possibile intravedere i boccioli di quei concetti rimasti espressi solo in parte. Ciò non può che appesantire l’album, che però diventa così capace di crescere nell’ascoltatore ascolto dopo ascolto, svelando progressivamente nuovi lati di sé prima ignoti.
A Umbra Omega è puro progressismo, un conturbante pastiche di elementi presi in prestito da poli opposti unito ad un’efficacissima attitudine avanguardista: ripetendo quanto era successo nell’ultimo anno del secolo scorso i DHG danno in pasto al pubblico qualcosa di mai visto prima. Folli accelerazioni al fulmicotone tramutate in evocativi passaggi d’atmosfera, cori spettrali alla Ved Buens Ende, eteree costruzioni di chitarra acustica e pianoforte, incursioni di sax reminiscenti dei lavori solisti di Ihsahn sono la prassi per ciascuno dei cinque componimenti (tolta la brevissima intro), dalla considerevole durata, che formano A Umbra Omega. A tutto ciò va aggiunta l’estraniante performance vocale dell’istrione Aldrahn, autore di una prestazione che ha dell’insano, intrisa di una teatralità inquietante, che viaggia su toni ora patetici ora drammatici senza mai perdere una distintiva aria di angosciante turbamento.
Le ottiche prospettiche attraverso le quali osservare ed analizzare il disco sono numerosissime, ed è proprio questo fattore a fare la forza di quello che con grande probabilità verrà considerato l’opus magnum dei Dødheimsgard: un lavoro caotico, difficilmente digeribile ma ricchissimo di spunti inediti, e presumibilmente foriero di interessanti novità per il futuro.
Per la seconda volta avanti a tutti.
8.5