(Candlelight Records, 2015)
1. The Sicarii
2. The Essential Salts Of Human Dust
3. Liber V Vel Reguli
4. Destroyed By Design
5. Ninkharsag
6. Tartarus Unbound
7. Pastoralis Praeeminentiae
8. Dawn of The Age of Aquarius
9. Iron Wolves
La Candlelight è universalmente conosciuta come etichetta di punta per quanto riguarda il black metal, fama ben giustificata dalla presente o passata presenza nel proprio roster di autorità indiscusse quali Marduk, Emperor, Gorgoroth e dallo spesso vincente occhio di riguardo verso formazioni fautrici di qualunque tipo di efficace innovazione nel campo. I britannici Ninkharsag, qui alla loro prima pubblicazione post-firma, sono in un certo senso atipici. Indubbiamente ci dev’essere stato un motivo per cui un’etichetta di tale caratura abbia dato fiducia ad un gruppo che porta con sé nient’altro che tanto, ostentato conservatorismo; ciò è presto detto.
Considerando l’attuale marasma di fallite sperimentazioni ed ossessivi tentativi di stupire con “qualcosa di nuovo”, si deve come minimo riconoscere a questi newcomers il merito di avere coraggio da vendere; perché effettivamente il rischio (di volare sotto qualunque radar) che potrebbe derivare dalla decisione di suonare purissimo black metal alla scandinava è parecchio alto. Gli inglesi in questo senso dimostrano un’onestà fuori dal comune: la loro musica è incredibilmente diretta, erede di sangue blu dei compianti Dissection e delle già citate creature di Gaahl e Ihsahn, questi ultimi privati dell’aspetto più sinfonico delle loro composizioni. I quattro decidono di non far pesare in alcun modo le proprie origini, presentando uno sfacciato quanto convincente citazionismo ai controversi pionieri del passato sfrontatamente rifacendosi all’ormai svanito regno dell’inner circle.
I pilastri permangono: uno scream ferale come pochi accompagnato da una batteria che non risparmia blast assassini e dalle gelide sferzate a cui siamo ben avvezzi, con un soddisfacente e sincero gusto melodico ad impreziosire la formula abituale senza mai tentare di mascherarne la veracità. Tutto ciò è supportato e messo notevolmente in risalto da una produzione che non sarebbe erroneo definire cristallina, quasi a sfatare il mito che suoni grezzi e sporchi oltre misura siano necessari per suonare black metal all’antica. Questo inaspettato equilibrio permette a Blood of Celestial Kings di colpire l’ascoltatore con la precisione di un chiodo dritto alla pupilla, chiaro esempio di come svecchiare un sound da molti reputato antiquato con l’uso di pochi ma sensati accorgimenti. Interessante ma purtroppo troppo poco sfruttata l’idea di fare uso di break acustici davvero ben congegnati ed inseriti nel contesto dei pezzi (o del pezzo, la centrale “Ninkharsag”) come unici momenti in cui è concesso respirare prima del successivo assalto all’arma bianca.
Blood of Celestial Kings è dunque la dimostrazione a lungo attesa che rivangare il passato con cieca fiducia negli avi non è sempre un male, per quanto tale atto possa a prima vista apparire azzardato. E con la stessa naturalezza con cui essi hanno esibito il loro orgoglioso attaccamento alle radici, ci sentiamo di promuovere i Ninkharsag a pieni voti.
8.0