(Unique Leader Records, 2014)
1. In My Land I Was A Snake
2. The Somber Empire
3. Cobra Verde
4. Salt In The Martyr’s Tear
5. Sinister And Demented
6. Desolation Within
7. The Alonest Of The Alone
8. Adjinakou
9. The Last and Only Son
Attivi dal 2007 e formatisi in Norvegia, seppur italiani in tutto e per tutto, gli Hideous Divinity cercano con il disco qui trattato una nuova (definitiva?) conferma a distanza di due anni dal debut Obeisance Rising. Una parola sull’ottima fattura di questa seconda prova è necessaria anche in fase di introduzione: siamo infatti davanti ad un album notevole, specialmente se preso in considerazione il periodo decisamente prolifico di uscite affini.
La complessità della proposta della band è evidente fin dall’opener “In my land I was a snake”. L’assalto diretto all’ascoltatore da parte dei deathsters laziali è completo, d’impatto sicuro così come difficilmente concepibile al primo ascolto, e soprattutto magistralmente eseguito. La formazione trova la sua piena espressione in questo secondo full-length in un songwriting fatto di strutture contorte composte da passaggi massicci ed imprevedibili, uniti con una naturalezza che non è rischioso definire rara nel panorama (technical) death metal contemporaneo. Ed è proprio la ricchezza insita in questo alternarsi di passaggi a fare la fortuna di Cobra Verde: un disco che, nella sua assoluta non-accondiscendenza, rimane ricerca costante di un modo nuovo di esprimere un concetto comune a tutte le nove tracce, nel contempo contemplando a livello concettuale l’esplorazione dei meandri più oscuri dell’animo umano. Le interessanti liriche si soffermano particolarmente sul senso di schiavitù e solitudine, ispirandosi questa volta alla produzione cinematografica datata 1987 che dà il nome all’album.
Dal lato più freddamente tecnico è invece impossibile non elogiare o quantomeno riconoscere l’estrema competenza di ciascuno dei membri della formazione: le chitarre di Enrico Schettino (ex Hour of Penance) e Antonio Poletti (ex Novembre) alternano sciabolate al cardiopalma a riff pesanti come macigni nei frequenti rallentamenti, maggiori contributori all’ulteriore appesantimento della già opprimente atmosfera generale dell’album. La sezione ritmica di Giulio Galati e Stefano Franceschini è principale artefice della complessità strutturale dei brani, sorretti da un’ossatura intricata ed incredibilmente robusta. Ottima è anche la prestazione vocale di Enrico Di Lorenzo, che alterna un growl gutturale ma mai troppo grave ad uno scream energico; da segnalare l’intreccio di vocals tra il precedentemente citato Di Lorenzo ed il ben noto Dallas Toler-Wade dei colossi Nile in “The Alonest of The Alone”, settima traccia del platter. Valore aggiunto è poi rappresentato dall’ottima produzione che riesce perfettamente nel (difficile) obiettivo di lasciare il giusto spazio ad ogni strumento così come alla voce.
Sommariamente, Cobra Verde si configura come un disco maturo, completo ed eccezionalmente solido, con il quale i nostrani Hideous Divinity guadagnano un posto di diritto nell’ultimamente sempre più affollato scenario tech/ brutal death moderno. E’ legittimo in questo caso parlare di consacrazione: sicuramente c’è poco di cui dubitare riguardo al futuro della formazione autrice di ciò che ora può ben essere considerato uno degli highlight del genere tutto in questi ultimi anni.
8.0