Il ritorno sulle scene dei bolognesi Neurasthenia, a due anni dal fortunato “Possessed” (che aveva meritatamente ottenuto un grande riscontro di critica, sia sul piano italiano che su quello europeo ), non può che essere definito di ottima fattura. Degno prosecutore della linea intrapresa dal quartetto emiliano, i brani sono anche in questo caso basati su un buon bilanciamento di tecnica ed impatto.
Ma andiamo con ordine: in questi due anni il gruppo ha avuto certamente modo di portare il proprio show in giro per i palchi di tutta Italia, accompagnando spesso band del calibro di Exodus, Hatesphere, Deicide e Municipal Waste, fra le altre. L’esperienza formativa che un curriculum del genere può aver dato si sente nettamente in queste nuove composizioni che, se da un lato non perdono la loro potenza e fanno spesso sorridere per la schiettezza di testi quali quelli di “Thrash is Back in Town” o “Go Fuck Themselves” (“so’ ragazzi”, si direbbe), dall’altro rivelano un tangibile miglioramento nello stile compositivo. Capaci di uscire dal groove che rischiava di inghiottirli, fossilizzandoli e con il costante rischio dell’autoplagio, l’album è invece composto di brani convincenti, variegati e che, tuttavia, non perdono di vista lo stile con il quale la band si è resa famosa al pubblico (per ora, purtroppo, in maggior parte solamente italiano).
Composto da dieci brani, di cui un outro ed un (buon) intro in grado di calare subito l’ascoltatore all’interno della atmosfera che lo attenderà durante tutto il disco, i Neurasthenia giocano gran parte delle loro carte al principio di ognuna delle loro canzoni. È qui, infatti, che l’attenzione dell’ascoltatore viene generalmente catturata, grazie ai riff di Phil (chitarra solista) e Neil (voce e chitarra ritmica). Il resto dei brani risulta spesso la naturale evoluzione della canzone (ed è proprio questa non-forzatura che costituisce il bello dei pezzi in questione), con ovvi e doverosi riferimenti, un po’ per lo stile di voce, un po’ per i già citati giri di chitarra, a mostri sacri del thrash. Scuola nettamente americana, come era stato per l’album di debutto e come si mantiene per almeno la prima metà di questo “Your Omen”. Almeno fino a che non si arriva, per esempio, alla (quasi) conclusiva “I Hate my Family”, che sposta il baricentro su sonorità di derivazione maggiormente europea (nonché vagamente più heavy, quantomeno negli arrangiamenti) e che lascia aperte le porte ad eventuali sperimentazioni (pur senza travalicare i confini di genere!).
Come ci si potrebbe aspettare, le canzoni non sono solo riff, ed è così che, fra le altre, il trittico “Liar #1”-“No Politics”-“Thrash is Back in Town” presenta assoli che non sfigurerebbero affatto in una qualsiasi delle collezioni americane. In somma: abbiamo un vero gioiello in casa, che è stato capace (anche) con il secondo album di confermare le ottime sensazioni trasparite già al debutto. Ora non resta che augurarsi il successo e la necessaria esportazione che consentirebbe una maggiore visibilità a questi talentuosi e divertenti ragazzi. Avanti così!
Voto: 8