(Profound Lore Records, 2013)
1. The Tower
2. Cavernous
3. The Curve
4. As Fathomed by Beggars and Victims
5. Obsian
6. The Seat of Severance
Parliamo oggi di una band ormai da ritenersi persa. Apparsi sulle scene con un ottimo album quale Mound of Ash, che mischiava sapientemente la malignità del black metal di matrice americana con la furia e la dissonanza del post hardcore, i Castevet avevano creato un interessante punto di contaminazione per quella che era la scena post-black in pieno sviluppo. Dopo tre anni, nel 2013, i nostri sono tornati sulle scene con un disco si è rivelato essere un ulteriore punto d’arrivo ma anche un arresto effettivo, culminato con lo scioglimento dei Castevet medesimi.
Obsian è un disco che prende sufficientemente le distanze dal suo predecessore, ma ne è un degno successore oltre ogni dubbio. Nel disco d’esordio gli americani avevano osato mischiare due generi significativamente distanti, magari con qualche spigolosità da dover limare qua e là e qualche passaggio leggermente forzato; ritroviamo invece in questo lavoro una maggiore coesione stilistica. Il black metal ha decisamente preso il soppravvento nell’economia sonora dei nostri, sfruttando tempi più quadrati e lineari nella prima “The Tower”, salvo poi rivelare soluzioni meno ortodosse nella seconda “Cavernous”, nella quale gli arpeggi black si mescolano alla dissonanza post core e le ritmiche si fanno più variegate, così come la struttura canzone stessa (con qualche richiamo ai Nacthmystium e ai Twilight). Se in Mound of Ash si rimaneva basiti nell’approcciare “Wreathed In Smoke”, per il suo totale derivare dal microcosmo sonoro dei Deathspell Omega, stavolta “The Curve” viene creata a dimostrazione della totale assimilazione di quel modus operandi: i richiami sono molteplici e regalano un forte senso d’inquietudine ad un pezzo che respira religious black metal in tutti i suoi otto minuti. Nella traccia seguente fanno capolino gli sciamani americani Wolves In The Throne Room con una formula ipnotica e sufficientemente ripetitiva da stordire e condurre per mano in fumose visioni, mentre “Obsian” funge da stacco mediante un delicato arpeggio e riverberi sovrapposti. “The Seat of Severance” è la classica traccia che fa pentire l’ascoltatore della scomparsa di una band. Quasi come per un ultimo sardonico saluto, i Nostri ci regalano la traccia più eclettica della loro breve discografia: la presenza della voce pulita crea un parallelo con quanto tentato da Pelican e Latitudes in ambito black e l’esperimento risulta azzeccato e pieno di gusto.
Con grande amarezza ci si rende conto di aver perso per strada un gruppo che avrebbe potuto dire ancora molto nel genere: i Castevet erano originali, ispirati e sperimentatori senza timore (qualità che oggigiorno servirebbero più che mai). Un ultimo saluto è d’obbligo, e noi speriamo di aver reso loro onore con questa recensione. Concludiamo dicendo che Obsian va di diritto ad aggiungersi alle creazioni più azzeccate nel sottogenere d’appartenenza, un must per tutti coloro che amano viaggiare su tali coordinate.
8.0