L’avventura dei Crimson Armada comincia all’inizio del 2007, ma si spegne nel giro di qualche mese. Dopo un paio di show in supporto a gruppi quali Dead to Fall e As Blood Runs Black, infatti, il gruppo decide di prendersi una pausa. Fortunatamente, in seguito a qualche pressione da parte dei fans e dei gruppi a loro vicini, la band di Westerville, Ohio, decide di riformarsi. E così registra un primo EP, che viene rilasciato alla metà del 2008 e che li rende noti agli orecchi della Metal Blade, attratta tanto dallo stile, quanto dalle tematiche trattate nei testi. Meno di sei mesi dopo, eccoli nuovamente in carreggiata, pronti a registrare il loro album di debutto presso gli studi di registrazione “The Foundation”, a Connersville, Indiana.
Dieci tracce (nove + outro) di modesto ed usuale death-core che compongono questo “Guardians”. La band fa forte promozione (tramite la propria biografia, tanto quanto direttamente nei testi) della matrice spirituale che è parte integrante delle tracce. Faccenda già trattata più volte, tanto più nel caso delle uscite targate Metal Blade la quale pare ormai dominare il mercato delle uscite christian-metal-core (in barba ai fasti del passato, a base dei ben più malvagi Slayer). Sebbene il genere in sé sia piuttosto saturo di cloni pronti a spuntare da ogni dove, c’è da ammettere come i nostri cinque si difendano piuttosto bene. Nello spazio di poco più di 40 minuti, infatti, riff e ritmiche ben costruite e pertanto convincenti si alternano ad alcuni intermezzi di tastiera che contribuiscono a spezzare i ritmi serrati. Certo, l’ombra dei padri(ni) fondatori (The Black Dahlia Murder) è sempre forte e presente, anche se a conti fatti i nostri riescono a personalizzare il proprio lavoro quel tanto che basta per non accostarli stancamente al resto del mucchio selvaggio.
Come al solito in questi casi, la produzione è pressoché perfetta e non si notano sostanziali sbavature. Così come notevole è la tecnica dei singoli componenti ed onesta risulta la prova dietro le pelli del batterista, David Puckett, mai troppo editato in fase di registrazione. Infine, l’alternanza screaming/growling del cantante, Saud Ahmed (un primo passo verso l’integrazione culturale dei primi immigrati mediorientali?!?), favorisce lo scorrimento facile e piacevole del disco. Non sarà la “next big thing”, ma per ora va più che bene.
Voto: 7