(Relapse Records, 2011)
1. Brewing the Storm
2. Bring Me Darkness
3. Ender of All
4. Mass Devotion
5. Carved in Stone
6. Set the Dial to Your Doom
7. Resistor
8. This Time is Divine
9. Growing Horns
10. Crossroads and Thunder
Correva l’anno 2004 quando una band proveniente da Atlanta (Georgia) chiamata Mastodon solcava i mari più burrascosi, esplorava gli abissi più profondi ed ignoti e le maree più impervie dello sludge metal, rimodellandolo grazie a fenomenali intelaiature progressive e ad una genialità indiscutibile, partorendo così una perla del metal moderno chiamata Leviathan: un’opera maestosa, con liriche ed atmosfere ispirate direttamente dal capolavoro della letteratura di metà Ottocento Moby Dick, di Herman Melville. Da allora lo sludge subì una notevole impennata di popolarità, dovuta alla formazione di nuove realtà musicali, ispirate dai mostri sacri del genere, forti però di una nuova visione di tali sonorità fornita, appunto, dal combo di Atlanta.
Della nuova ondata di band sludge, tra quelle più puriste e stampo classico e quelle dalla vocazione più eterea e sofisticata, gli statunitensi (pure loro provengono dallo stato della Georgia) Black Tusk sono di sicuro i più scanzonati e sbruffoni. I cafoni tra i cafoni, che tornano a distanza di un anno dalla precedente release col quarto album Set the Dial, pubblicato (come il suo predecessore) via Relapse Records. La band, nota per la sua immediatezza e per infischiarsene della sofisticatezza e della meticolosa ricerca di novità, mantiene in gran parte la rotta tracciata col precedente Taste the Sin, prendendo lo sludge più maleducato e cafone, violentandolo con un fare hardcore punk estremamente marcato ed una componente doom meno presente rispetto a quella a cui siamo stati abituati a sentire da una band sludge. L’appellativo di figli di band quali Buzzoven e Mothorhead è decisamente azzeccato!
In mezzo a tutta questa ignoranza, con brani diretti come le opener del disco “Brewing the Storm” (intro strumentale) e “Bring me the Night”, trovano spazio anche momenti in cui la band (a differenza del precedente lavoro) si presta a qualche excursus più “progressivo” (“Mass Devotion”), concedendosi anche di parafrasare l’heavy metal nel loro ignorante slang sudista (“Growing Horns”). Segnaliamo come migliori episodi dell’album brani come “Set the Dial to Your Doom” per la sua arroganza menefreghista, l’atipica e già citata “Mass Devotion” e l’energica “Carved in Stone”.
Un buon album senza la minima ombra di dubbio, che alza di una tacca il livello del combo a stelle e strisce seppur peccando in “tiro” e coinvolgimento per un paio di brani. Decisamente il disco più maturo partorito dai Black Tusk, anche se l’irriverente ignoranza di Taste the Sin (2010) nella sua semplicità e schiettezza rimane maledettamente divertente.
Voto: 7