(Rise Above Records, 2011)
1. The Great God Pan
2. Coven Tree
3. The Hermit
4. My Demon Brother
5. Morning of The Magicians
6. Oliver Haddo
7. Night of Augury
8. The Witch’s Dance
9. Daughter of The Sun
Sul finire degli anni sessanta, all’alba del nuovo decennio, sulla scia della sempre più influente psichedelia, dell’irrinunciabile fascinazione per il misterioso e per l’occulto, delle visioni allucinate e perturbanti sorsero una serie di band destinate a passare in secondo piano nella storia del rock, ma di grandissima importanza nell’evoluzione dello stesso verso sonorità più estreme.
Per la prima volta temi quali la stregoneria, il sacrificio umano, la ritualità distorta, il satanismo e tutto ciò che gravita attorno alla sfera dell’occulto diventano protagonisti delle liriche di rock band alla portata di un pubblico fondamentalmente underground, composto in gran parte da giovanissimi forse stanchi di un certo “buonismo” propagato dalla British Invasion.
Ed ecco nascere band come i Coven, che nel 1969 nel loro primo album inseriscono la registrazione completa di una (ipotetica, ovviamente) messa nera; i Lucifer’s Friend, che già dal nome aggiungevano sconcerto a quello suscitato dai Black Sabbath; i Black Widow, che nel loro Sacrifice (1970) inseriscono la foto di una donna completamente nuda nell’atto di essere sacrificata da un componente della band.
E’ ancora possibile, nel 2011, ricreare una simile immagine senza cadere nel pacchiano che, come ricordiamo in questi casi, è sempre dietro l’angolo?
La risposta ci è data dai Blood Ceremony, giovane combo canadese, che debutta nel 2006 col distinto self titled; il sound del quartetto è fascinoso, multiforme, malleabile, incredibilmente fluido e robusto, ricco di influenze ma di originalità innegabile.
La scuola dei Sabbath si manifesta nei riff più doom-oriented, così come le lyrics ricalcano appieno gli stilemi di cui abbiamo appena parlato; questo ovviamente fa parte del gioco.
Vero perno dell’intero spettacolo è la frontwoman Alia O’Brien, la cui voce si mantiene su frequenze medio basse, sprigionando un calore e una fluidità di grande impatto; le linee vocali conservano nel loro incedere peccaminoso quella vena bluesy che arricchiva il sound dei primi Sabbath, rendendo il risultato davvero avvincente.
Inoltre la giovane si diletta anche all’organo e al flauto: al primo spetta di dipingere sporadiche atmosfere lisergiche, in puro stile sessantiano, senza curare il suono più del dovuto, cercando di mantenere un mood grezzo e diretto; il secondo costruisce linee melodiche di grande interesse, semplici ma di sinistro lirismo (la strumentale “The Hermit” è uno degli apici dell’album), senza però ricoprire un ruolo di primo piano nel sound variegato della band (paragoni coi Jethro Tull sono inutili e deleteri, in quanto in questo caso il flauto rappresenta lo strumento panico e silvano per eccellenza).
Non mancano le influenze di diversa natura: “Daughter of The Sun” si districa tra continui accenni alla NWOBHM, in un affascinante mid tempo, arricchito da un bellissimo solo di flauto; la già citata “The Hermit” si muove su coordinate tipicamente folk, con l’aggiunta consapevole di blue notes dal sapore settantiano.
In conclusione Living With The Ancients è un ottimo album, dal grandissimo impatto, ricco e dalle innumerevoli facce; il consiglio è rivolto a chiunque sia interessato a riscoprire un sound oggi poco utilizzato, ma dal fascino incontrastato.
8.5