(Relapse Records, 2009)
1. I
2. II
3. III
4. IV
5. V
6.VI
7. VII
8. VIII
Il miglior album post-hardcore dell’anno, senza alcun dubbio.
Ecco cos’è, senza troppi giri di parole, il nuovo album dei Buried Inside. Un disco bellissimo, tecnicamente ottimo, stilisticamente vario ed altamente emozionante. Una gemma che non può temere di essere superata, almeno a livello qualitativo, in quest’anno e forse neanche nei prossimi: neanche gli Isis, appena usciti col nuovo album, hanno saputo fare di meglio.
Ma parliamo per un attimo degli autori di questo gioiello. I Buried Inside sono canadesi, e si sono sempre distinti come dei “fuoriclasse sottotono” nel loro genere. Dopo In And Of The Self nel ’99 e Suspect Symmetry nel 2001, in cui si dedicavano ad un hardcore schizofrenico ma evoluto, sul modello di gente come i Converge o i mai abbastanza compianti Breach, sono approdati su Relapse Records nel 2004 con l’ottimo Chronoclast, album interessantissimo sia dal punto di vista lirico che prettamente musicale, concentrato, conciso e schizzato nei momenti più brevi, spettacolare, emozionante e geniale nei pezzi più lunghi e meditati… ed è questo l’aspetto su cui si sono concentrati i cinque canadesi sul nuovo album.
Spoils Of Failure si presenta come un opprimente monumento alla disperazione, alla tristezza, alla rassegnazione: questo traspare dai testi, magistralmente interpretati dalla voce costantemente in un growl potente, evocativo, disperato ed emozionante. I pezzi si sorreggono solamente su chitarre, basso e batteria, senza orpelli aggiuntivi: bastano questi strumenti di base a creare le trame emozionanti dei Buried Inside; nessun singolo elemento spicca in modo particolare sugli altri, tutt’insieme sono volti unicamente alla riuscita spettacolare del pezzo. Basso e batteria sono precisi, decisi, ed efficaci, mentre le chitarre plasmano in modo naturale e senza mettersi eccessivamente in mostra delle melodie splendide ed introspettive che, pur dipanandosi in pezzi anche piuttosto lunghi, rimangono impresse nella memoria anche dopo pochi ascolti.
Un altro punto a favore dei Buried Inside, poi, è la quantità di influenze diverse che si riscontra sull’album, e il modo in cui vengono usate per creare pezzi anche molto differenti tra loro. Basterà poco tempo per memorizzare “II”, il pezzo più veloce dell’album, o il bellissimo riff che, all’inizio di “IV”, vi prenderà per mano e vi farà viaggiare nelle eteree melodie del brano. Non basteranno invece una decina e più di ascolti per trovare qualcosa di sempre diverso nella lunghissima “III”: dopo una partenza lenta e maestosa, ed una parte centrale sognante, si conclude con un assalto finale di riff spezzati e fulminanti: formula simile, ma più abbreviata, viene utilizzata in “V”, mentre le ultime tre tracce, come la prima, in circa sei minuti sono dei viaggi sempre diversi in abissi di pesante disperazione, guidati da atmosfere cupe e ad alto rischio di depressione.
Quello che rende i Buried Inside superiori a tante formazioni che si definiscono “post-core” semplicemente rielaborando tecnicamente la lezione di Neurosis e compagnia, è la consapevolezza dei propri mezzi e l’uso altamente “psicologico” che ne fanno: probabilmente avete letto questa parola troppe volte nelle ultime righe, ma non si può fare a meno che definire “emozionante” questo nuovo gioiello che ci hanno offerto i Buried Inside. Un album in cui il post-core (mai definizione fu più limitativa) più “classico”, a cui ci stiamo forse abituando un po’ troppo, si sposa con influenze quasi doom, creando sfumature che vanno ben oltre le parentesi “sludge-atmosferiche” dei già citati Neurosis.
Lasciatevi trasportare, al di là di qualsiasi disquisizione puramente tecnica, dalle melodie commoventi e strazianti partorite da questi cinque canadesi: verrete lentamente trascinati all’interno del loro mondo a tratti altamente distorto, a tratti tristemente sterile e freddo come spesso sono le loro terre d’origine. E infine, sarete risucchiati negli abissi mentali oscuri e disperati creati magnificamente e con un senso dell’arte fuori dalla norma da un manipolo di fuoriclasse del post-core. Allora, come posseduto, il vostro dito tornerà sul tasto play, e voi sarete di nuovo ipnotizzati dal riff iniziale di “I”.
9.0