In occasione dell’uscita del nuovo album Utopie E Piccole Soddisfazioni abbiamo scambiato qualche parola con la mente che sta dietro il progetto Bologna Violenta, Nicola Manzan.
Due anni fa Bologna Violenta iniziò a farsi conoscere su più larga scala grazie a Il Nuovissimo Mondo, un album che iniziava già a mostrare un preciso intento musicale e non, rendendo il suo autore uno dei progetti più originali della scena italiana ed europea. Con Utopie E Piccole Soddisfazioni qualcosa è cambiato sia nelle musiche che nella riflessione che vi sta dietro, lasciamo quindi ogni chiarimento alle parole di Nicola Manzan.
Ciao Nicola, intanto grazie per la disponibilità, vedrò di non rubarti troppo tempo! Non è passato molto tempo dall’uscita di Utopie E Piccole Soddisfazioni, ma come è stato recepito a livello di critica il disco in queste due settimane?
Devo dire che ad oggi le critiche sono tutte molto buone. Il disco è stato capito, e questo mi sembra un ottimo risultato, visto che non faccio canzoni normali e non ho testi. Per me l’importante era fare un passo avanti rispetto a Il Nuovissimo Mondo senza però spostarmi troppo da quello che ho fatto fino ad oggi. L’ho pensato come la normale prosecuzione di quanto già fatto fino ad ora e, per quanto sia molto soddisfatto del risultato, ho temuto che l’allontanamento dalle tematiche cinematografiche e la scrittura più “seria” della musica facessero storcere il naso a qualcuno. Noto con piacere, invece, che è stata recepita la mia volontà di andare avanti per la mia strada seguendo un percorso a mio avviso molto naturale.
Il contributo degli archi è diventato fondamentale, alcuni brani sembrano scritti a partire da melodie dettate da quelli. L’evoluzione di Bologna Violenta potrebbe allargarsi ulteriormente e sfruttare la lezione della musica classica ancora di più in futuro?
Anche questo è frutto di una normale evoluzione della mia scrittura. I primi pezzi che ho fatto (Il Bimbo, Lutto della testa, Mi fai schifo) hanno la classica impostazione di BV, ma registrando ho sentito l’esigenza di cominciare a mettere degli archi a sottolineare le armonie e anche le melodie. Partendo da Vorrei sposare un vecchio, in cui la scelta degli archi è stata quasi casuale, sono arrivato a Le armi in fondo al mare, in cui le chitarre sono state registrate addirittura per ultime, mentre già c’era una base di batteria, basso e orchestra. Questo nuovo modo di scrivere mi ha veramente aperto dei mondi, che peraltro magari già conosco, lavorando sempre parecchio come violinista, ma adesso so come farli incontrare o scontrare a mio piacimento; quindi penso che, se da un lato mi piace tenere una visione molto hardcore della cosa, penso anche che continuerò a muovermi in questa direzione per vedere che succede e dove andrò a parare. La musica classica è diventata appannaggio solo di una piccola élite, ma penso che, sebbene molte cose siano già state fatte, ce ne siano anche molte altre da fare.
La vena “cinematografica” che ti ha caratterizzato soprattutto nel primo album, in Utopie E Piccole Soddisfazioni pare affievolirsi notevolmente anche se nel video di Il Convento Sodomita ritornano certi colori e situazioni cari ad un certo tipo di cinema italiano di -enta anni fa. L’uso di colori così accesi e di certe movenze ricorda molto il periodo horror di Dario Argento; ho frainteso totalmente oppure è stata una scelta voluta?
Il regista del video (Francesco Brunotti) è un grande fan di quel tipo di film, quindi ha elaborato questo video cercando di avvicinarsi a quel mondo, con l’uso dei colori, le movenze, appunto. e molti altri dettagli che chi se ne intende può riconoscere. In genere quando qualcuno mi chiede di fare il video del pezzo, gli lascio carta bianca e anche questa volta è andata così. Francesco, poi, ha già fatto due ottimi video per me (Maledetta del demonio e Blue Song), quindi non avevo dubbi sul risultato finale. I riferimenti cinematografici, in un modo o nell’altro, tornano sempre, fanno parte anch’essi della nostra cultura, quindi, visto anche i miei “trascorsi”, direi che anche in questo caso ci possono stare. Il pezzo poi si presta ad una visione horrorifica, del resto questa era la mia intenzione quando l’ho registrato.
Piccola curiosità personale, i primi secondi di Le Armi In Fondo Al Mare sono ispirati alla colonna sonora de Il Padrino? A primo acchito la mente mi ha riportato subito a quel film.
No, è l’inizio di un Oratorio di Prokofiev intitolato “Ode to peace”, da cui ho estratto anche la parte declamata in russo a metà pezzo.
Per la prima volta compaiono due cantanti a tutti gli effetti: J. Randall degli Agoraphobic Nosebleed e Aimone Romizi dei Fast Animals And Slow Kids. Come mai la scelta è ricaduta proprio su loro due? E, per un progetto che si dichiara visceralmente legato a Bologna e dintorni, come mai la scelta di Valium Tavor Serenase e non di Emilia Paranoica, ad esempio?
Valium Tavor Serenase mi è sembrato da subito il pezzo più adatto da rendere col mio stile. Mi era stata chiesta una cover dei Cccp per una compilation e questo è il primo pezzo che mi è venuto in mente. E’ veloce, molto punk negli intenti, con una parte in mezzo imbarazzante che sembra proprio una cosa grottesca di quelle che faccio io a volte… Visto che non canto, ho pensato un po’ a chi poteva farlo al posto mio e Aimone mi è sembrato da subito il più adatto. Sono molto soddisfatto del risultato, l’ha interpretata molto bene e anche nella parte “truzza” si è inventato una parte recitata degna dei migliori vocalist della riviera romagnola. Emilia paranoica è un po’ troppo lontana da quello che faccio io, avrei dovuto fare una versione doom, ma non mi sembrava il caso. Poi ho scoperto che di recente l’ha fatta uscire anche Le luci della centrale elettrica, quindi tanto meglio.
Con J. Randall invece ci conosciamo da un po’ visto che ha fatto uscire i miei precedenti lavori per la Grindcore Karaoke, la sua etichetta. Mi aveva chiesto di partecipare in qualche modo alle registrazioni ed ho colto la palla al balzo, facendogli cantare il pezzo più grind del disco. Mi fa strano sentire la sua voce su un mio pezzo… sembrano gli Agoraphobic Nosebleed!
Nella presentazione si legge che “le grandi utopie che muovono il mondo e l’animo umano sono ridicolizzate dalla sensazione che tutto sommato sono le piccole soddisfazioni di ogni giorno a rendere la nostra vita migliore”. Il Nuovissimo Mondo sembrava tentare di cercare ancora qualche appiglio utopistico tramite una cieca violenza, ora invece tutto viene “ridimensionato”, posto alla portata di tutti. Credi che sia questo il punto di arrivo, o si può cercare di scavare ancora più in profondità?
Mi piace pensare che si possa scavare sempre, per trovare nuovi mondi, per andare sempre più a fondo nelle questioni. Il Nuovissimo Mondo prendeva coscienza della cosa e la affrontava con un ghigno malefico, sferrando attacchi sonori e ridacchiando qui e là, Utopie e piccole soddisfazioni raccoglie un po’ i cocci lasciati e li scruta con occhi severi, portando ancora più avanti il limite di sopportazione. Per me è come una prima maturità raggiunta, la presa di coscienza di cosa siamo, di cosa non va bene e come pensiamo seriamente di affrontare questo declino del genere umano che ancora ci affligge. Nel fare questo, l’arma contro la depressione perenne sono le piccole soddisfazioni, appunto, delle piccole rivincite sulla vita che ci danno la forza di andare avanti.
Collegandomi alla domanda precedente, da Utopie E Piccole Soddisfazioni si percepisce un sentimento di disillusione e melanconia, cosa che personalmente non avevo colto nelle scorse uscite. Pensi che sia “solo” merito dell’uso degli archi, oppure era questo uno degli obiettivi?
Come dicevo prima, il mio intento era fare musica seria, prima di tutto. Quindi da subito ho pensato di lasciare poco spazio al grottesco e alla facile risata, in modo da avere più liberta espressiva con gli strumenti. Di sicuro gli archi hanno aiutato moltissimo a creare una vena malinconica, fa parte del mio modo di scrivere e del tipo di sonorità che hanno gli strumenti stessi, ma penso che anche il livello di scrittura sia migliorato in generale, lasciando meno spazio a parti caotiche e cercando di puntare ad un uso “consapevole” dell’armonia. Di base, comunque, i pezzi sono sempre molto veloci e brevi, quindi l’impatto degli archi si sente parecchio e creano una sonorità un po’ alienante, a volte.
Quali sono le piccole soddisfazioni di Nicola Manzan alla luce del nuovo album?
Innanzitutto è proprio la nascita di questo nuovo album la mia più grande soddisfazione. Non avevo idea di chi l’avrebbe fatto uscire, di come sarebbe stato accolto da pubblico e critica, ma soprattutto non sapevo che “forma” avrebbe avuto. Ora mi sento soddisfatto, il disco è in vendita anche nei negozi di dischi, nonostante sia un progetto di nicchia, perché in molti credono in quello che faccio, quindi alla faccia della crisi, io continuo a provare a vendere i dischi come si faceva un tempo, magari controllando il prezzo di vendita (che dovrebbe essere attorno ai dieci euro) e cercando di andare incontro alle esigenze di tutti. Un’altra soddisfazione è il fatto che da ormai due anni il progetto va avanti senza che ci sia la necessità da parte mia di lavorare con altri gruppi, almeno dal vivo. Questo forse significa che è diventato tutto un po’ più grande e che le cose stanno funzionando. Ovvio che anche da parte mia c’è stato un adeguamento dello stile di vita, in modo da aver sempre meno fame e meno vizi da mantenere.
Sono riuscito a vederti dal vivo più di una volta (anche ai Giardini di via Filippo Re a Bologna, location splendida) e mi sono sempre chiesto come tu riesca a conciliare le parti campionate a quelle effettivamente suonate dal vivo con precisione: è tutto merito della memoria o ogni tanto qualche errore può capitare?
Di errori ne capitano, a volte, del resto la perfezione non è una caratteristica dell’essere umano. In genere ho degli schemi mentali ben precisi per la ricordare la struttura generale del concerto, mentre i pezzi li so a memoria e cerco di suonarli molto a casa, in modo da poter superare il limite tecnico dal vivo e lasciare che esca anche una buona parte di emotività. Se sono in serata giusta, con l’impianto che funziona e tutto, riesco a suonare molto bene, riuscendo ad essere sempre abbastanza preciso. Altre sere non va esattamente così, ma in genere sul palco sono abbastanza rilassato. Diciamo che c’è una buona base di studio fatto a casa reso più umano da una certa dose di adrenalina che scatta salendo sul palco.
Alla luce del terzo album, come vedi sin qui il percorso svolto da Bologna Violenta? Con i “se” non si va avanti, ma se potessi ora cambiare qualcosa o fare scelte diverse, rifaresti le stesse oppure c’è qualche sassolino nella scarpa che ti toglieresti volentieri?
Direi che sono abbastanza buddista da guardarmi indietro e dire che è andato tutto come doveva andare e che di alternative non ce n’erano. Ci sono delle cose che avrei potuto affrontare in maniera diversa, certi concerti che avrei potuto far meglio, ma di base mi sento molto tranquillo su tutte le scelte fatte finora e sui risulati ottenuti. Cerco di non perdere mai il controllo del progetto e di ponderare ogni mia decisione per far sì che le cose funzionino come devono funzionare e senza sforzo, anzi, senza forzature, altrimenti ho l’impressione che andrei io per primo a perdere la spontaneità con cui affronto questo progetto ogni giorno. Non devo aver l’impressione che ci sia qualcosa di costruito a tavolino, altrimenti tendo a stancarmene e a lasciar perdere.
Per ora direi di avere esaurito le domande; ti ringrazio ancora per il tempo concessomi e ti faccio ancora i complimenti per Utopie E Piccole Soddisfazioni, sperando di vederti nuovamente dal vivo in queste zone!
Grazie mille a te per lo spazio a mia disposizione e per i complimenti. Ne approfitto per dire che il tour continua fino a maggio e che su http://www.estragon.it/booking/tour.php potete trovare tutte le date aggiornate.
NESSUNA POLITICA
NESSUNA RELIGIONE
BERVISMO PER PIU’