(2012, Prosthetic Records)
1. Good Hunting
2. Quitters Anthem
3. The Death of Boredom
4. Or Do Ideas Have You
5. Big Chief
6. Oath
7. Black Funds
Il primo full-lenght degli americani Primitive Weapons fa seguito ad un singolo rilasciato ormai un anno fa, che aveva ben impressionato ascoltatori e soprattutto critici (quelli giusti: Pitchfork e simili, per intenderci), pronti ad esaltarne le qualità e a designarli come next big thing del 2012 in ambito postcore. Con queste credenziali, la band di Brooklin si è messa al lavoro e ha prodotto un lavoro tanto conciso quanto convincente, caratterizzato da un songwriting sorprendentemente maturo.
La prima cosa a balzare all’occhio di The Shadow Gallery è la breve durata: venticinque minuti sono francamente molto pochi, tanto che in condizioni normali si faticherebbe a definirlo un full-lenght; ma se in meno di mezz’ora questi ragazzi riescono a stordirci con un sound potente e multi-sfaccettato, inevitabilmente il discorso cambia. Venticinque minuti di cazzotti in faccia: questo è quanto i Primitive Weapons hanno riservato al grande pubblico. E, a conti fatti, quella di concentrare tutta la loro creatività in sette brevi pezzi è una scelta azzeccata, che molte altre band – eccessivamente prolisse e pretenziose – dovrebbero prendere in considerazione.
I cinque si muovono in modo convincente tra sludge e postcore, costruendo una sorta di oscuro ibrido di Deadguy e Dillinger Escape Plan; non mancano aperture melodiche (sempre ‘sporcate’, un po’ alla Torche, per intenderci) ed episodi ai limiti del progressive, ma la proposta dei Primitive Weapons resta essenzialmente straight-to-face. In questo senso, notiamo una perfetta alternanza tra mid-tempos granitici, come “Quitters Anthem” o la tritaossa “Good Hunting”, e pezzi più cadenzati: “Big Chief” e “Black Funds” sono veri e propri macigni sludge, fangosi e oppressivi come da tradizione del genere.
Per avere un’idea abbastanza completa del sound dei Primitive Weapons, basta ascoltare la già citata “Quitters Anthem”: tra riffoni sludge e riuscite melodie isis-iane, gli appassionati di sonorità postcore troveranno pane per i loro denti. Davvero degno di nota il lavoro del frontman David Castillo, molto versatile e perfettamente a suo agio tanto nello scream, quanto in territori più melodici (nei quali si esibisce in un cantato in pieno stile Page Hamilton). Con le dovute proporzioni, mi ha ricordato più che vagamente Greg Puciato. Per quanto riguarda la produzione, siamo su ottimi livelli: suoni moderni, ben bilanciati e perfettamente distinguibili, una goduria ascoltarlo ad alti volumi.
In sintesi, The Shadow Gallery è un disco divertente, ben composto e suonato, privo di passi falsi o pezzi più deboli: la qualità generale rimane sempre alta, merito anche della breve durata. Pur non inventando niente di nuovo e muovendosi fra territori già ampiamente esplorati da molte altre band, i Primitive Weapons sono riusciti a costruire un sound sfaccettato e a suo modo anche piuttosto personale. Il songwriting è maturo e convincente, sia nelle parti melodiche che quanto bisogna picchiare duro. Insomma, questi ragazzi hanno tutte le carte in regola per fare bene anche in futuro. Ne risentiremo parlare.
7.0