(Autoprodotto, 2011)
1. From the Wounds;
2. Shelter in the Pit;
3. Zealots
I Rotorvator sono un trio italiano giunto con Heaven alla terza uscita ufficiale, pur rimanendo comunque nell’ambito di ep (l’omonimo del 2009 e Nahum dell’anno successivo); mixato da Marcello Batelli, questo lavoro si propone di coniugare black metal, noise, industrial e caos vario, cosa che sembra riuscire abbastanza bene, visti i pareri positivi ricevuti durante lo scorso anno e la possibilità di aprire il concerto bolognese degli Altar Of Plagues.
Purtroppo il sottoscritto non ha potuto presenziare all’attività live del gruppo, ma ora può finalmente sentire per intero Heaven, peraltro presente da ascoltare per intero dal Bandcamp dei Rotorvator.
Ad un primo impatto la proposta risulta decisamente ostica; diventa difficile raccapezzarsi in mezzo agli effetti industrialoidi e cibernetici che si susseguono senza sosta per la durata dei tre brani, ma col proseguire degli ascolti e con un mood più adatto sicuramente il caos sonoro imbastito dai tre italiani diventa ammaliante ed inizia ad acquistare un perché, inizialmente oscuro. Non solo black metal quindi, ma anche un gusto molto particolare per le soluzioni adottate (il motivetto quasi tribale di “Shelter In The Pit”, per quanto inizialmente irritante, diventa ipnotico nel giro di pochi secondi) che dà vita a composizioni ben definite e strutturate: la presenza di vocals talvolta quasi pacate alternate a filtrati scream al vitriolo dal sapore quasi EBM e alla Anaal Nathrakh, riff violentissimi sorretti da una drum machine marziale e precisa (“Zealots”, il brano dal sapore più strettamente metal di tutto l’ep), passaggi dal sapore quasi power electronics e industrial (“From The Wounds”) uniti ad una disarmonia generale ben incanalata rendono questi tre brani decisamente affascinanti.
Non una proposta per tutti, chi non conosce certe sonorità vedrà in Heaven solo rumore senza capo né coda; chi invece si è già imbattuto o mastica questo tipo di disagio (gli esordi degli Aborym potrebbero fare da paragone, prima che si perdessero in inutili e pompose divagazioni sinfoniche; o, estremizzando ulteriormente, anche gli inarrivabili Diabolicum, pur fautori di una proposta di altro tipo) troverà in queste tre canzoni pane per i suoi denti. Un album intero basato su queste sonorità probabilmente diverrebbe davvero difficile da digerire, ma visto che qui si tratta di soli quindici minuti di follia, direi alla fine il tutto non risulti così ostico come può sembrare all’inizio.
7.0